venerdì 13 ottobre 2017

Viaggio verso Agartha / I bambini che inseguono le stelle (2011) | Recensione

Viaggio verso Agartha / I bambini che inseguono le stelle
Voto Imdb: 7,2
Titolo Originale:Hoshi o ou kodomo
Anno:2011
Genere:Avventura, Fantastico
Nazione:Giappone
Regista:Makoto Shinkai
Cast:Hisako Kanemoto, Kazuhiko Inoue, Miyu Irino

Attenzione! Questa recensione è un estratto della Monografia su Makoto Shinkai. Ne ho fatta una versione separata ai fini di una bieca migliore indicizzazione dei motori di ricerca. Seguite questo link per leggere l'intero articolo! LINK

Locandina dell'edizione italiana Dynit (2019)


Livello di spoiler: PAN DI STELLE [son dolce, non vi rovino la trama]

Nota preliminare importante: questo film ha avuto due edizioni italiane, la prima col titolo “Viaggio verso Agartha” (2012), la seconda con il titolo “I bambini che inseguono le stelle” (2019). Per comodità, la recensione continuerà ad usare il vecchio titolo, ma oggi a tutti gli effetti il film si può trovare con quello nuovo, più aderente all’originale.

Studio Ghibli a manetta (1) Asuna e Shun
Passa qualche anno in cui il Nostro si gode un (meritato?) riposo, ma l'ispirazione giusta non tarda ad arrivare. Già in questi anni comincia a circolare, da parte di fan e critica, l'accostamento a Miyazaki e allo Studio Ghibli, che Shinkai ha sempre rifiutato con la giusta dose di umilté e deferenza nel rispetto di un mostro sacro. Poi qualcosa deve essere scattato nella sua mente ma, sapete, non ho la più pallida idea di cosa abbia veramente pensato quando ha proposto Viaggio verso Agartha allo studio, e ancor meno so cosa abbiano pensato quando gli hanno dato il via libera per la produzione. Hoshi o ou kodomo, letteralmente "Bambini che inseguono le stelle", fin dalla primissima sequenza, fra strabuzzare gli occhi degli spettatori da quanto è simile ad un'opera dello Studio Ghibli. Non solo per i fondali dipinti a mano, con uno stile artistico molto più vicino a quello di Miyazaki che a quello più spigoloso e moderno di Shinkai, ma anche per lo stesso character design più tondo e morbido; io stesso, alla prima visione, sono rimasto leggermente spiazzato, ricordo che mi sono chiesto: "Ma dai, Makoto è passato alla corte di Takahata e Miyazaki?" Poi si nota il livello delle animazioni, pur sempre ottime, ma non al livello di fluidità di quelle dello studio più blasonato; lo stesso Shinkai non aspetta troppo tempo a spazzare via ogni dubbio: un mostro orribile semina panico nel paesino e la sua morte è fin troppo cruenta e sanguinosa per essere uscita dallo Studio Ghibli. Tirato un sorriso di sollievo - un plagio così smaccato sarebbe stato eccessivo - tuffiamoci nella trama e nel mondo di una produzione per molti versi atipica rispetto agli altri lavori di Shinkai, sia precedenti che successivi.
Studio Ghibli a manetta (2) il paesino di Asuna
La protagonista è la dodicenne Asuna Watase, che vive in un paesino delle montagne in una zona non ben precisata del Giappone e in un periodo più vicino agli anni '70 che a quello odierno (lo si capisce dal design delle auto e dell'immancabile treno che compare in una delle prime sequenze, altre scene successive ci faranno però capire che siamo in un universo alternativo al nostro). Asuna, a causa della sua situazione familiare, è costretta a vivere da adulta più di quello che la sua età imporrebbe; il padre è mancato anni prima, lasciandole in ricordo uno strano cristallo azzurro iridescente; la madre lavora come infermiera nell'ospedale vicino e, a causa dei turni massacranti, non è quasi mai a casa. La piccola si barcamena tra le attività quotidiane, cucinando per sé e la mamma, lavando i panni e trovando anche il tempo di essere la prima della classe. Non è per nulla antipatica, tutt'altro, ha uno spirito intraprendente ed è dannatamente curiosa. Quando non deve studiare e ha già finito con le faccende di casa, trova pure il tempo di fare qualche scorribanda nei boschi sul pendio della montagna, in cui si è ritagliata un piccolo rifugio dove evadere, sognare ed ascoltare la radio a galena ricevuta dal padre prima della sua morte. Tranquilli, prima di oggi non sapevo cosa minchia fosse una radio a galena, l'ho sempre detto che sono ignorante - l'ho appreso leggendo la pagina su Wikipedia.
Asuna ascolta la radio insieme al gattino Mii
Dicevo: tempo prima, grazie alla radio, Asuna ha captato una stranissima canzone che le è entrata dritta nel cuore, malinconica, struggente, veicolo di emozioni che non ha mai provato né prima né dopo. Durante una delle sue sortite in direzione del suo rifugio segreto, la ragazzina capisce che c'è qualcosa che non va; quando all'improvviso le si para di fronte un mostro maleodorante e sanguinante, accecato dalla rabbia e dal dolore, non riesce a muovere un passo da tanto è l'orrore provato. Prima che il mostro la uccida, interviene a salvarla uno strano ragazzo dai capelli lunghi che, dopo un combattimento serratissimo, riesce ad avere la meglio sulla bestiaccia, pur restando gravemente ferito al braccio. Nel curarlo (è figlia di un'infermiera, ricordiamolo!), Asuna stringe amicizia con il ragazzo, che le rivela di chiamarsi Shun e di provenire da Agartha, un mondo fantastico sotterraneo. Egli è tornato in superficie in cerca di qualcosa - non rivela cosa - poi guarda la ragazzina dritta negli occhi e le dà una benedizione speciale: un bacio innocente sulla fronte. Con l’arrivo della notte i ragazzi si separano, promettendo di rivedersi il giorno dopo. Shun guarda la volta celeste e sospira: sa che non potrà mantenere la parola, la sua morte sta arrivando inevitabile. Di fronte al gatto Mimi, che sicuramente non è estraneo a quello a cui sta assistendo, il ragazzo si lascia cadere nel burrone perdendo la vita, ma felice di aver compiuto la sua missione. Il giorno dopo è denso di emozioni per Asuna. Prima apprende dalla madre della morte di Shun (la polizia ha trovato il suo corpo in fondo al fiume, con al braccio la sciarpa che la ragazza aveva usato per medicarlo), in seguito fa la conoscenza del nuovo professore di letteratura, Ryūji Morisaki, che esordisce con una lezione inquietante sul mito di Izanagi ed Izanami (gli Orfeo ed Euridice della mitologia nipponica, qui una veloce panoramica) e su Agartha, la terra dei morti.
Il dialogo col professore. Notare l'uso dei colori e delle luci.
Inutile sottolineare come questo nome catturi l'attenzione di Asuna, che la sera va a trovare il professore; questi le rivela di aver perso la moglie anni prima e di non essere mai stato in grado di accettarne la morte. Morisaki è alla ricerca di Agartha perché è convinto che nella terra dei morti sia possibile ridare la vita ai defunti. Presto la situazione subisce una bella accelerata: nel tornare a casa, mentre un elicottero militare irrompe sulla scena, Asuna incontra un ragazzo molto simile a Shun, la cui attenzione è richiamata dal cristallo custodito dalla ragazza, cristallo che si scopre essere una chiave che apre il portale di accesso per Agartha. Non mi dilungo ulteriormente: dopo una serie di eventi concitati, Asuna, il professore Morisaki e il nuovo ragazzo Shin - ovviamente fratello di Shun - entrano in Agartha, e qui comincia l'avventuroso viaggio alla scoperta del mito della vita e della morte.
Una delle immagini più suggestive del film.
Ciliegi pure qui...
Commento
Tutto molto figo, nevvero?
Lo confermo annuendo con convinzione. Ogni elemento descritto nelle righe precedenti concorre ad esaltarmi come un caimano, c'è praticamente tutto quello che incontra i miei gusti: ambientazione prima realistica ricostruita fin nei minimi particolari, poi diventata smaccatamente fantasy man mano che la storia prosegue; disegni da urlo, animazioni di primo livello, colori strepitosi, sia nelle scene chiare che in quelle dove il buio diventa attore principale; una protagonista ben caratterizzata, almeno come presentazione iniziale; il sense of wonder dello Studio Ghibli, quello che si è respirato negli anni '80, fino ad arrivare ad un tono più cupo, splatter in certi punti, che va oltre a quello che avevamo visto in Princess Mononoke (1997). Insomma, al terzo tentativo si può affermare che Makoto Shinkai abbia centrato il bersaglio. Peccato non sia tutto oro quello che luccica e che anche Viaggio verso Agartha soffra delle solite problematiche che affliggono molte delle produzioni del regista. Innanzitutto, l'aver voluto innalzare l'asticella per potersi scontrare frontalmente con lo Studio Ghibli, e praticamente sul loro stesso terreno, può essere visto o come un imperdonabile atto di presunzione (cosa che non è, lo specifico bene) o di scellerata incoscienza (cosa abbastanza probabile). Restando nel campo della mitologia con pedestri metaforone tanto care a Makoto, potrei affermare che, così come Icaro si è bruciato nel cercare di volare verso il sole, allo stesso modo Shinkai si è ritrovato con qualche osso rotto dopo lo scontro con il suo grande ispiratore, pur ammettendo una resa onorevole. Perché dico questo?
Mononoke Hime puppami la fava!
Prendi Princess Mononoke e Nausicaa (tutta la parte relativa alle creature mitologiche guardiane dei portali, qui chiamate Quetzalcoatl, così come la rappresentazione divina della Natura, sono prese di peso da Mononoke Hime), Laputa - il castello nel cielo (l'ambientazione stramba, il cristallo azzurro), Kiki Delivery Service (la radio, il gatto come compagno di viaggio, la protagonista Asuna), mischiali fra loro e spera che il pubblico apprezzi; purtroppo il rischio più grande in cui puoi incorrere è il provocare una straniante sensazione di déjà vu. È impossibile non chiedersi: "Shinkai sta scimmiottando Miyazaki o ci mette del suo?" Se poi ti accorgi che, grattata la strepitosa patina con cui il regista ti stordisce fin dall'inizio, le sue solite magagne emergono dirompenti, ecco, non puoi fare a meno di storcere il naso. Rispetto a Oltre le nuvole, lo ammetto, la trama deraglia molto meno, sbandando qualche volta ma portando a casa un onorevole risultato; purtroppo ci sono alcune scelte di sceneggiatura poco chiare o dimenticate o, peggio ancora, incoerenti (non si spiega cosa spinga alla morte Shun, né il perché si sia sentito così appagato nell'andare in superficie); la stessa indecisione di Asuna in un paio di snodi fondamentali stride con il suo carattere forte ed indipendente, anche se in fondo si tratta di una bambina di dodici anni. La motivazione che Shinkai adduce nel giustificare la testardaggine della bambina a proseguire nel viaggio in Agartha è stata per me fin troppo pretestuosa e forzata, anche se accettabile a denti stretti. 
Treni pure qui... c'è riuscito.
Il problema più grosso di Asuna, probabilmente, è il suo crescere poco come personaggio. Lei non agisce ma reagisce alle situazioni, spinta in balia degli avvenimenti e dei personaggi che incontra. Anche qui ci ripetiamo: "È una bambina, in fondo". Epperò risolvere ogni obiezione con questa giustificazione diventa abbastanza stucchevole e poco elegante. Semplicemente, Shinkai avrebbe potuto (e dovuto) porre una maggiore attenzione ai particolari di trama e di caratterizzazione, cosa che, ad esempio col professore, ha funzionato meglio: uno dei personaggi più convincenti, ad incarnare l'incapacità dell'essere umano di elaborare il lutto ed accettare più serenamente il concetto di morte. Invece, come al solito, il regista ha preferito spingere il pedale dell'acceleratore sull'aspetto tecnico-visivo, ottenendo un film con dei picchi di bellezza assoluta, ma abbastanza superficiale nel trattare gli spunti introdotti e che non vengono sviluppati, ma anzi lasciati perdere. Torniamo al solito discorso: anche Viaggio verso Agartha è poco bilanciato, pur avendo dalla sua un pregio di non poco conto: le forzate seghe mentali di adolescenti depressi sono state accantonate a favore di un'avventura a più ampio respiro. Forse questo è il motivo principale per cui Agartha è il film meno apprezzato dagli irriducibili fan del regista: non me ne vogliano questi ultimi, ma mi sento di affermare con forza che a mio avviso, il film meno "makoto-shinkaiano" di tutti è quello al momento più riuscito, lineare, godibile. Già domani avrò voglia di ri-godermelo con gusto, anche solo per cogliere qualche particolare che mi è sfuggito ad una prima (e ad una seconda) visione.
Casa di Asuna. I dettagli sono clamorosi.
Dato che vi sto apertamente consigliando di guardarlo - foss'anche solo per smentirmi e dirmi che sto scrivendo un mucchio di fregnacce - cercate di seguire un secondo consiglio. Guardatelo in lingua originale, rigorosamente con sottotitoli di qualche gruppo di fansub (italiano o inglese, a seconda della vostra sensibilità). Non provate nemmeno ad avvicinarvi all'edizione originale italiana, uno dei peggiori prodotti mai pubblicati - di sempre, in assoluto, nei secoli dei secoli. L'edizione è della francese Kazé che per il doppiaggio italiano si è avvalsa di un adattatore francese e per le voci ha usato ragazzi e ragazze italo-francesi non professionisti che cercano disperatamente di leggere con accento italiano, finendo per generare, purtroppo, un miscuglio incomprensibile ed imbarazzante. Se avete presente la battuta storica "Vorrei una stonsa" pronunciata dall'Ispettore Clouseau di Peter Sellers nel fantastico La pantera rosa di Blake Edwards, capirete benissimo. Gli stessi sottotitoli, una traduzione resa in un italiano desolatamente approssimativo, sono altrettanto inutili. Diamo a Cesare quel che è di Cesare, questa edizione è una Vera Merda. Non voglio passare per quello che incentiva la pirateria, ma l'edizione Kazé è un insulto prima di tutto verso l'autore, in secondo luogo verso il pubblico italiano che, dovendo cacciare il grano, si aspetta e pretende giustamente di avere tra le mani un prodotto quantomeno valido e professionale.
Per fortuna, nel 2019 la Dynit ha ridoppiato il film, pubblicandolo in DVD e Bluray con il titolo “I bambini che inseguono le stelle”, restituendo dignità ad un’opera altrimenti massacrata. Il giorno in cui succederà lo stesso con le opere Studio Ghibli senza gli orrendi adattamenti di Cannarsi, potrò morire felice… ma purtroppo questa è un’altra (lunga e triste) storia.

Uno scorcio di Agartha

Il Pagellone!
Così è deciso!
Trama: 6
le solite magagne di Shinkai, scelte di trama forzate ed azzardate, non sono così gravi da minare la fruizione della storia. A mio avviso, il frullato di mitologie asiatiche, occidentali e centroamericane ha generato qualcosa di quasi originale (non mi sbilancio troppo).
Musiche: 6
l'immancabile spaccacoglioni Tenmon ci ammorba con il suo solito commento musicale, qui coadiuvato da un'orchestra che aggiunge sostanza e varietà alle azioni più concitate.
Regia: 8,5
Shinkai è, registicamente, una garanzia, ad ogni produzione il livello visivo migliora a vista d'occhio, e Viaggio verso Agartha non fa eccezione. Questo è un film davvero gustoso alla visione.
Ritmo: 6,5
il voto è perfino basso perché con un'ambientazione fantastica di questo livello ti aspetti di vivere un'avventura frenetica... ma Shinkai riesce ad essere lento e prolisso anche in questa occasione, senza mai raggiungere - per fortuna - il Livello Mortale del Tedio che io aborro.
Violenza: 6,5
non male alcune scene forti ed inquietanti, se è necessario Shinkai ci mostra il sangue, eccome. 
Humour: 5
registro comico nullo, si prosegue sul solco della tradizione del regista.
XXX: 0
nulla da segnalare.
Voto Globale: 7,5
promosso su tutta la linea, Viaggio verso Agartha è il film più atipico di Shinkai, nel senso che esce dai suoi soliti schemi ma che, a causa di questo, finisce per diventare troppo ordinario o simile ad altre produzioni. A salvarlo, neanche a parlarne, è la superlativa qualità grafica. Il voto finale non riflette il giudizio sulla versione italiana, talmente oscena che abbasserebbe la valutazione finale ad almeno un secco nonché desolante 4, altamente ingiusto nei confronti di Shinkai.

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...