venerdì 13 ottobre 2017

[Speciale] Makoto Shinkai | Monografia

Your Name. di Makoto Shinkai, immagine di presentazione
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N.B. Nota prima di partire: in giro per l'articolo ci sono tutte immagini cliccabili e, dove possibile, in alta risoluzione, per permettere una migliore visione possibile della qualità sbalorditiva delle produzioni di Shinkai. Leggendo capirete.

Revisione v1.01 - 16 Ottobre 2017
Revisione v2.01 - 04 Giugno 2020 -> disponibile il nuovo PDF aggiornato!

Makoto Shinkai in persona.
Nel mese di febbraio 2017 il film d'animazione giapponese Your Name. (2016) di Makoto Shinkai ha ufficialmente e definitivamente superato La città incantata di Hayao Miyazaki nella classifica dei maggiori incassi di un film anime nel mondo, classifica dominata dal film dello Studio Ghibli fin dalla sua uscita nel 2001. È ovvio et scontato che, di fronte ad un risultato del genere, i riflettori di tutto il pianeta (ma che dico, del multiverso) si siano puntati sul regista Makoto Shinkai; molti, nello spellarsi le mani in roboanti applausi, si sono prodigati nel definirlo il Nuovo Miyazaki, figura che il Giappone intero sta aspettando da quando il Maestro ha annunciato il ritiro nel 2013 [1]. Incuriosito dal risultato eclatante di Your Name., ho voluto lanciarmi nella visione di tutta la sua produzione per capire quanto sia sensato l'accostamento al Maestro.
Nato nella prefettura di Nagano nel 1973, dopo l'università (letteratura giapponese) Shinkai è stato assunto nel 1995 come graphic designer in un'azienda produttrice di videogiochi (Falcom). Negli anni successivi il ragazzo realizza che il suo sogno è buttarsi nel mondo degli anime e dei manga, sua grande passione mai sopita nel tempo. Dopo un primo tentativo con Other Worlds ("Tooi Sekai", 1998) nel 1999, tutto da solo, produce, disegna e dirige un cortometraggio di pochi minuti, Lei e il gatto ("Kanojo to kanojo no neko"). Le critiche positive ricevute lo incentivano a proseguire su questa strada. Il tempo di trovare fondi e sponsor, dopo sette mesi di duro lavoro, utilizzando un Power Mac G4 con LightWave, Adobe Photoshop, Adobe After Effects e Commotion DV, nel 2002 se ne esce con La voce delle stelle ("Hoshi no koe"), un cortometraggio di 25 minuti dal tema fantascientifico. La critica lo acclama - vince molti premi - e il DVD entra nella Top 100 dei più venduti di quell'anno. Shinkai capisce che questa è la sua strada, si licenzia dalla Falcom e firma un contratto con la CoMix Wave Inc. (diventata nel 2007 CoMix Wave Films) che già l'aveva sostenuto con La voce delle stelle e che, da allora, è diventata lo studio di produzione di tutti i suoi lavori. Negli anni a seguire ha prodotto e diretto diversi medio e lungometraggi, dimostrando una costante e progressiva crescita e maturazione.
Temi (1) Petali
Cosa fa di Makoto Shinkai un autore di successo? Cerchiamo di capirlo con le sue opere. Dato che non sono molte - e alcune sono di breve durata - non è stato un grosso problema immolarmi per voi e spararmele tutte. Di conseguenza, questo speciale diventerà bello lungo e corposo, mettetevi comodi, salvatelo per una lettura offline, scaricate la versione PDF o, se siete abituati a paragrafi monorigo, andate pure su un altro sito, perché vi tedierò oltremodo. Proseguo esattamente in ordine cronologico per arrivare al suo film più acclamato (Your Name.), e finire con l’ultimo uscito nel 2019, Weathering with you, non perché fa figo o per creare suspense, ma per sottolineare la sua crescita come autore. Proseguendo nella lettura (o nella visione, io ovviamente vi suggerisco il secondo metodo), si potrà notare come ci siano alcuni temi ricorrenti nella sua produzione.
Temi (2) Pioggia
Partendo dal doveroso presupposto che lui è sceneggiatore, disegnatore, regista, montatore e curatore degli effetti speciali di tutti i suoi film, non si può non ribadire quanto essi siano autoriali: la sua impronta, il suo ego, i suoi marchi di fabbrica sono impressi col fuoco ed è proprio per questo che si può riconoscere al volo un lavoro come suo quando ne vedi uno. Questa caratteristica presenta dei pro e dei contro, ovviamente. Teniamo sempre presente una cosa, però: lui nasce come artista e disegnatore, la ricerca dell'estetica diventa la naturale conseguenza del suo percorso al punto che, spesso, sovrasta la narrazione e la scrittura in generale. Makoto è inoltre un romantico - dategli voi l'accezione che preferite, perché valgono tutte allo stesso modo - e ama raccontare di incontri, destino, distanza, incomunicabilità (tema ricorrente negli anime, a dire il vero), spesso circondati da una spruzzatina di fantascienza. I suoi personaggi sono il più delle volte archetipi, ma non è necessariamente un aspetto negativo: data la brevità media delle sue produzioni, facilita la fruizione e l'immedesimazione da parte dello spettatore.
Giusto per dare un'infarinatura generale del suo stile, questi sono i temi generali e gli elementi di stile preponderanti che incontriamo spesso nei suoi film:
Temi (3) Treni
  • C'è un lui e c'è una lei. La relazione può essere tormentata, può arrivare ad una conclusione oppure no, ma il percorso che la contraddistingue è funestato da elementi che rendono difficile il suo compimento. Le opere sono dunque ammantate da romanticismo e sentimentalismo.
  • Gli ostacoli sono spesso dati dal tempo e dalla distanza: comunicare quando entrambi i fattori si dilatano diventa un'impresa ardua.
  • Treni. Treni ovunque, nel presente, nel passato, nel futuro, Shinkai ci piazza sempre uno o più mezzi su binari; a volte è solo di contorno (Il giardino delle paroleOltre le nuvole, il luogo promessoci e Weathering with you), altre volte diventa attore non protagonista (5 cm al secondo) o il teatro di una scena di grande pathos (Your Name.), ma il treno c'è sempre. D'altronde, se il tema della distanza diventa un punto focale della visione, il treno è un valido mezzo per affrontarla, nel bene e nel male.
  • Uccelli. Niente Hitchcock, eppure Shinkai li piazza almeno una volta per film. Potrei partire con discorsi filosofici sul significato del volo anzi, ero già pronto con il pippone assoluto, ma ci ha pensato Shinkai stesso a smontare ogni teoria al riguardo: mette gli uccelli in volo solo perché "fa figo". Segnatevela, questa risposta disarmante è un chiaro indicatore della mentalità del Nostro.
  • La pioggia. Il simbolismo malinconia = pioggia viene saccheggiato a piene mani. Come il treno, la pioggia può essere un semplice elemento di contorno o addirittura il principale pretesto narrativo per mettere in moto gli eventi (Il giardino delle parole), o addirittura il centro focale dell’intera narrazione (Weathering with you), ma c'è sempre. Chiaramente è un aspetto che troviamo spesso negli anime, dato che in Giappone, come nella gran parte del sud-est asiatico, esiste la stagione della pioggia. Altri elementi, spesso di contorno, sono la neve e i petali di ciliegio che cadono dagli alberi. Facile notare come ciascuno di questi elementi contraddistingua in modo netto una stagione (pioggia = estate, neve = inverno, petali = primavera, foglie = autunno). L'alternanza, anche veloce, degli agenti atmosferici diventa il mezzo più semplice per fare intuire allo spettatore balzi temporali anche consistenti.
  • Fantascienza o elementi fantastici: non è presente nella totalità delle sue opere, ma nella maggior parte sì. Ad essere più precisi, se un'opera è priva di elementi fantascientifici, diventa esageratamente realistica, con una attenzione al particolare e al quotidiano prossima al maniacale. Diciamo che, per Shinkai, difficilmente esistono vie di mezzo.
  • Lo stile musicale adottato prevede, il più delle volte, un incedere lento di pianoforte accompagnato da pochi altri strumenti; il suono generale evoca malinconia, tristezza, drammaticità. Vi confesso che al terzo film con lo stesso stile mi sono frantumato i maroni: la musica diventa stancante e talvolta irritante. Spesso verso tre quarti o alla fine della storia, viene piazzata una canzone pop d'effetto, a volte funzionale, a volte molto meno. Gran parte delle composizioni dei primi film sono state affidate a Tenmon, amico di sempre di Shinkai, nonché un nome che imparerete presto a temere. La svolta pop si è avuta con Your Name., in cui sono stati chiamati i rocker giapponesi Radwimps, confermati anche con il successivo Weathering with you. La strada non è più quella malinconica e straziante di Tenmon, ma quella frizzante del j-pop-rock mainstream che strizza l’occhio ad un pubblico più vasto.
  • Lo stile visivo, uno dei migliori fra le produzioni anime attuali: prima di tutto per il perfetto uso dei colori e dei contrasti cromatici; chi parla di quadri in movimento non esagera per nulla. In secondo luogo, per l'ottimo uso di computer graphic e disegno manuale, integrati fra loro senza stacchi tra una sequenza e l'altra. 
  • Due fonti di ispirazione su tutte: il regista Hayao Miyazaki, ovviamente, e lo scrittore Haruki Murakami. Del primo è inutile aggiungere altro, sul secondo tornerò più avanti, insieme al commento finale dopo tutte le recensioni dei film. Recentemente, Shinkai ha apertamente dichiarato un terzo nome: Hideaki Anno che, con il suo Neon Genesis Evangelion, ha creato una pietra miliare dell'animazione giapponese.
Temi (4) Uccelli
Per riferimento, ecco la sua breve filmografia in ordine cronologico:

1999 - Lei e il gatto ("Kanojo to kanojo no neko") | OAV, cortometraggio
2002 - La voce delle stelle ("Hoshi no koe") | OAV, cortometraggio
2004 - Oltre le nuvole, il luogo promessoci ("Kumo no mukō, yakusoku no basho") | Lungometraggio
2007 - 5 cm al secondo ("Byōsoku go senchimētoru") | Mediometraggio
2011 - Viaggio verso Agartha / I bambini che inseguono le stelle ("Hoshi o ou kodomo") | Lungometraggio
2013 - Someone's Gaze ("Dareka no Manazashi") | Cortometraggio
2013 - Il giardino delle parole ("Kotonoha no Niwa") | Mediometraggio
2016 - Your Name. ("Kimi no na wa") | Lungometraggio
2019 - Weathering with you - La ragazza del tempo ("Tenki no ko") | Lungometraggio

Nota pseudo-redazionale: contrariamente ad altre mie recensioni, qui ho inserito spoiler pesanti, al punto da arrivare a spiegare anche il finale di alcune storie. Questa è una scelta ponderata e voluta e la motivazione è semplice: spesso si parla di corto e mediometraggi con un messaggio ben chiaro, recensirli senza spiegarli diventa per me molto difficile. Vi ho avvisati - ad inizio di ogni recensione segnalo comunque se lo spoiler è pesante o leggero. Ho cercato di suddividere ogni recensione in sotto-paragrafi, vi basti sapere che, per evitare lo spoiler, è sufficiente volare alla relativa sezione Commento. Se invece la cosa diventa troppo tediosa, potete saltare direttamente al paragrafo Conclusioni, in fondo all'intero articolo.
Partiamo!

Dettagli incredibili (Weathering with you)
La pioggia (Weathering with you)


1999 - Lei e il gatto ("Kanojo to kanojo no neko")

Livello di spoiler: MICRO [come il cortometraggio]

Fotogramma da Lei e il gatto.
Cortometraggio di neanche cinque minuti, in bianco e nero, con animazioni minimaliste e voce fuori campo che spiega quello che vediamo. Cosa ha di particolare? L'io narrante è quello del gatto, il vero protagonista della storia. In realtà in Lei e il gatto non c'è una storia vera e propria, ma cinque micro-capitoli di un minuto ciascuno in cui il gatto racconta la situazione che sta vivendo in quel momento: il suo arrivo nella nuova casa, il suo "innamoramento" verso la padrona, che vediamo sempre di spalle o col volto nascosto da ombre e capelli, i problemi (non si sa di quale tipo) della ragazza e le sue difficoltà quotidiane. Cinque minuti sono poco o nulla per capire un autore, anche se in questo primo lavoro vero e proprio ci sono già i germogli dei temi che Shinkai svilupperà più approfonditamente in seguito. Lei e il gatto non è niente di più di una visione lieve e passeggera, che non lascia il segno e che vi consiglio di vedere solo se siete in preda al nozionismo puro molesto e volete barrare la casella "VISIONATO" su tutti i lavori di Shinkai, inclusi i rutti unplugged.
Data la natura del corto, è inutile e fuori luogo darne una valutazione.
Segnalo che nel 2016 è uscita in Giappone una miniserie di quattro episodi ispirata alla storia originale di Shikai, in cui viene il rapporto tra la padrona e il gatto viene sviluppato in modo più approfondito. Titolo originale: Kanojo to Kanojo no Neko: Everything Flows (Lei e il gatto: tutto scorre).


2002 - La voce delle stelle ("Hoshi no koe")

Locandina della edizione DVD d/visual
Livello di spoiler: ASSENTE [non succede una cippa, andate tranquilli]

Ok, gli sfondi sono già strepitosi adesso...
Ahia, questo è invecchiato male.
Ricordo benissimo come, quindici anni fa, esaltato dal risultato ottenuto dal lavoro di una sola persona, avessi guardato La voce delle stelle con un occhio di riguardo. E credo anche che mi fosse piaciuto parecchio, l'idea che un povero disgraziato si fosse messo di buzzo buono per tirare fuori un prodotto simile tutto con le sue sole forze aveva fatto sì che le sue magagne scomparissero quasi del tutto. Ora che l'ho rivisto per scrivere questo articolo, non posso che scuotere la testa sconsolato. La voce delle stelle è un lavoro davvero molto ingenuo, con degli ottimi spunti, ma che naufraga in uno svolgimento macchinoso e privo di una reale conclusione. Anche il character design, soprattutto dei personaggi, è approssimativo e ancora troppo grezzo per poter essere confrontato con una produzione più blasonata. L'idea di partenza non è male: la Terra è in guerra con i Tarsian, una razza aliena brutta e cattiva; i paladini del bene lanciano una flotta per combatterli e in particolare l'astronave Lysithia è diretta sul pianeta madre per farla finita una volta per tutte. Mikako e Noboru sono due ragazzi che stanno insieme, ma presto dovranno separarsi: lei è stata scelta come pilota di mech per combattere il nemico e viene spedita proprio sulla Lysithia. Il resto della storia è un susseguirsi di messaggi tra loro due, che impiegheranno sempre più tempo per raggiungere la destinazione man mano che la distanza tra loro aumenterà, fino a quando un messaggio impiegherà 8 (otto) anni per arrivare, inviato da lei adolescente e arrivato sulla Terra a lui adulto. Tra un messaggio e l'altro, lei continuerà a combattere il nemico a bordo del suo mech in un tripudio di esplosioni, missili, spade laser e azioni evasive.
Non abbiate paura di spoiler con La voce delle stelle, la storia qui è solo un bieco pretesto per giustificare una serie di frasi da Baci Perugina unite a sequenze di combattimenti che, considerando il fatto che sono stati tutti realizzati da una sola persona, ti fanno esclamare qualcosa del tipo: "Vacca boia, complimenti all'autore!"
Mikako alla guida del mech con la divisa da scolaretta...
La storia, purtroppo, è quella che manca, e non sarà la prima volta per Makoto Shinkai. L'intera operazione è avvolta da un quasi simpatico velo di ingenuità: ridicolo che Mikako (addosso) combatta sul mech vestita con la divisa della scuola e non in tuta da pilota (come un qualunque anime di robottoni anni '70 e '80 insegna); snervanti le sequenze statiche - per ovvi motivi di lavorazione tecnica - in cui la voce fuori campo "legge" il contenuto dei messaggi; irritante, infine, il contenuto degli stessi messaggi, sdolcinati pur non raggiungendo vette diabetiche, che stonano inseriti in un contesto di combattimenti tra robot. La voce delle stelle è, chiaramente, un lungo esercizio di stile resosi necessario a Shinkai per brillare di luce propria e farsi notare in un sempre affollato panorama di produzioni professionali.
Proprio per la sua unicità e peculiarità, non mi sento di dare una valutazione al corto: oggettivamente sarebbe insufficiente, ma non ha senso bocciare in modo così netto il risultato straordinario ottenuto dal regista - lui e solo lui - agli esordi.
Mech e pioggia in un colpo solo. Grande combo!

2004 - Oltre le nuvole, il luogo promessoci ("Kumo no mukō, yakusoku no basho")

Locandina dell'edizione Nexo per il cinema
Livello di spoiler: UHM [trama generica senza nulla svelare del finale]

Altra splendida immagine tratta dal film.
Non ci resta, a questo punto, che aspettare al varco Shinkai con il suo primo lavoro di un certo spessore, che arriva nel 2004 con Oltre le nuvole, il luogo promessoci (traduzione letterale del titolo originale), lungometraggio di un'ora e mezza. Ah, l'ucronia! Uno dei miei generi fantascientifici preferiti, l'ucronia ci racconta cosa succederebbe se un evento del passato avesse avuto uno svolgimento ben diverso da quello che la Storia ci insegna. Giusto per darvi qualche esempio letterario, permettetemi di citare Harry Turtledove con Invasione Anno Zero (1994, con i relativi seguiti) che racconta di come, durante la II Guerra Mondiale, avvenga una rovinosa invasione di alieni simili a grosse lucertole bipedi che sconvolge l'intero pianeta; Philip K. Dick (La svastica sul sole, 1962) e Robert Harris (Fatherland, 1992), che immaginano ipotetici anni '60 in cui la Germania ha vinto la Guerra e il nazismo impera su tutta l'Europa. Come noterete, l'ucronia ha bellamente attinto dal pentolone della II Guerra Mondiale, divenuto uno dei suoi temi più gettonati, forse anche abusati; nella stessa direzione va Oltre le nuvole: Shinkai immagina come, alla fine della Guerra, il Giappone sia stato diviso in due parti, quella meridionale controllata dagli Stati Uniti e quella settentrionale dall'Unione (chiaro riferimento all'Unione Sovietica). Chi ha detto: Chi ha detto: "Ehi, è come le due Coree?". Durante i nuovi ipotetici Anni '90 il Giappone inizia il processo di unificazione, ma l'isola di Hokkaido (ribattezzata Ezo) continua a resistere; per mano dell'Unione viene eretta una torre enorme, talmente alta ed imponente da poter essere visibile perfino da Tokyo. Nessuno sa a cosa serva e il perché sia stata costruita.
Hiroki e Takuya
La storia inizia con queste premesse e si focalizza su Hiroki Fujisawa e Takuya Shirakawa, due bambini prodigio, geni (e figli) della tecnica, che hanno un grande sogno: riuscire a riadattare un velivolo da loro ritrovato, col quale raggiungere la Torre di Ezo e scoprirne il misterioso segreto. La compagna di scuola Sayuri Sawatari, palesemente nonché ovviamente innamorata del ribelle Hiroki, si unisce al gruppo e viene coinvolta nel loro grande sogno. Quando finisce l'estate del loro ultimo anno di scuola, Sayuri scompare improvvisamente senza lasciare tracce e i due ragazzi in preda allo sconforto si separano, abbandonando il loro folle progetto; li ritroviamo tre anni dopo, il freddo e calcolatore Takuya è diventato uno scienziato che studia il fenomeno degli universi paralleli, l'impulsivo Hiroki si è trasferito a Tokyo per dimenticare, senza riuscirci, Sayuri. Presto, però, la situazione degenera: una nuova guerra di indipendenza contro l'Unione è alle porte, e giungono notizie frammentate sulla povera ragazza, ricoverata in un ospedale militare ed in piena narcolessia a causa della quale non riesce più a svegliarsi. Un sogno ricorrente di Hiroki che vede la ragazza sola, abbandonata in una struttura mistica e fuori dalla realtà, accende una nuova scintilla nel ragazzo: e se quello non fosse un semplice sogno, ma una sorta di interconnessione con Sayuri?
L'ultimo saluto tra i tre protagonisti.
Struggente, nevvero?

Commento
Notare la qualità degli sfondi, già ora strepitosa.
Oltre le nuvole parte da una premessa molto interessante, ma presto abbandona la sua attenzione all'ambientazione e al mondo alternativo creato, per soffermarsi sulle vicende dei due ragazzi, costretti dalle circostanze a ritrovarsi ed unire le loro forze. I temi tanto cari a Shinkai affiorano tutti: salti nel tempo a livello narrativo, comunicazione (tra le menti, in questo caso), treni, introspezione spicciola. Alcune sequenze nel cielo ed altre volutamente oniriche fanno gridare: "Studio Ghibli!" a pieni polmoni e, aggiungo, non senza fondamento. Nella prima parte, la formula funziona davvero bene. Quando l'autore si muove su un terreno a lui congeniale, i vari elementi si incastrano molto bene tra loro: inizi a capire l'alchimia tra i ragazzi, intuisci la forte amicizia che li lega e cogli - oltre non ti viene mostrato - il loro carattere. Poi, quando arriva Sayuri, respiri già in anticipo una singolare aria di malinconia, perché sai che di quei momenti di giovinezza rimarrà soltanto il ricordo. I problemi iniziano ad arrivare quando la storia cambia registro, si parte con le supercazzole prematurate e si aggiungono inutili complicazioni che si affastellano una sull'altra, disorientando lo spettatore. Le scene di raccordo diventano sempre più scollegate, rendendo l'intera struttura narrativa poco omogenea.
Qui iniziano le supercazzole
La magia che si respira nella prima parte, così magistralmente resa grazie all'unione di splendide immagini e incipit interessante, si scioglie come neve al sole, quando si tratta di dare un seguito alle premesse e delle risposte agli interrogativi. Purtroppo, Oltre le nuvole implode su se stesso proprio quando tutto sembrava sulla rampa di lancio. Non aiuta, come spesso accadrà con le opere di Shinkai, una esasperante lentezza di fondo, che fa venire la voglia o di chiudere il player o di spararsi un litro di caffè in endovenosa per non cedere ai martellanti colpi di tedio. Essendo il primo lavoro di un certo livello, si può chiudere un occhio e perdonare le molte incertezze che lo caratterizzano, ma il film è e rimane una produzione incompleta; qui, più che altrove, si abusa dell'espediente che vede i personaggi parlare fuoricampo con un'inquadratura statica e bloccata su un particolare; può essere il campo lungo di un paesaggio o la ripresa ravvicinata del corrimano di un treno, ma la sostanza non cambia: è tutto fermo e immobile, qualche (bel) gioco di luce e riflessi ravviva lo schermo per un istante e sullo sfondo i personaggi perseverano nelle loro inutili seghe mentali.
Immaginatevi un dialogo intero con questa inquadratura fissa.
Bella, eh, ma che due palle...
Il film è incompleto, secondo me, anche perché non sfrutta appieno le premesse dell'ucronia: l'aspetto fanta-storico è solo un banale orpello per dare una cornice alla storia, ma non viene minimamente approfondito, anzi viene messo in secondo piano fino a scomparire del tutto. Se Oltre le nuvole fosse ambientato ai giorni nostri o in un futuro prossimo, non cambierebbe assolutamente nulla. Peccato, perché sfruttare più approfonditamente le premesse iniziali avrebbe dato più ampio respiro alla storia, rendendola avvincente e, soprattutto, coinvolgente. Ecco, di tutti i difetti del film, il peggiore è proprio la mancanza di coinvolgimento: non mi ha preso, non ha fatto sì che mi chiedessi cosa ci fosse davvero oltre quella maledetta torre o cosa ne sarà di Sayuri. Una volta trovate le risposte a queste domande, il film termina senza che mi sia rimasta addosso quella voglia di rivederlo che succede quando scatta la scintilla. Superbo visivamente tenendo presente che è di oltre un decennio fa, ma freddo ed inconcludente. Peccato.

Io continuo a rimanere basito di fronte alla qualità dei suoi disegni.
Giudizio finale:
Storia: 4,5 - l'ambientazione è fine a se stessa, i personaggi non hanno spessore, lo svolgimento non crea coinvolgimento.
Regia: 6,5 - la mano di Shinkai c'è e si vede, l'aspetto tecnico è ineccepibile, ma sono state fatte scelte oscene, probabilmente dovute ad un budget risicato, che rendono l'opera ingenua e per nulla perfetta.
Musiche: 6 - il solito pianoforte di Tenmon, sto già iniziando ad odiarlo. Ma in accompagnamento alle scene tristi del film, non si può negare che sia funzionale allo scopo. Qui, per giunta, c'è in azione una piccola orchestra che rende il suono leggermente più ricco.
Ritmo: 4 - lento, noioso, prolisso, colmo di scene e dialoghi inutili. Si fosse mantenuto ai livelli di un mediometraggio, ne avrebbe giovato enormemente.
Violenza: 4 - poco o nulla.
Humour: 4 - non si ride neanche per sbaglio.
XXX: 0 - nulla da segnalare.
Globale: 5 - Ritengo Oltre le nuvole uno spreco di talento e risorse. Il potenziale c'è e si vede in ogni inquadratura... se solo avesse senso prendere le scene singolarmente, così come sono, senza inserirle in un contesto più ampio come un film normalmente richiederebbe. Un'occasione mancata, dove la noia la fa da padrona e non avviene la benché minima empatia con i personaggi.

Pioggia. Toh.

Cliccate per ingrandire e godere della magnificenza dell'immagine.


2007 - 5 cm al secondo ("Byōsoku go senchimētoru")

Locandina dell'edizione home video della Kazé

Locandina dell'edizione home video Dynit (2019)


Livello di spoiler: ASSASSINO [trama dettagliata e finale svelato]

Qui continuo a sbavare di fronte alla qualità, in ascesa costante.
5 cm al secondo
, un mediometraggio di circa un'ora, è la storia di Takaki e Akari, un bambino e una bambina che si conoscono alle elementari. Hanno molto in comune: hanno cambiato più volte scuola a causa del lavoro dei genitori, sono spesso malaticci e per questo preferiscono andare in biblioteca, isolandosi dal resto dei compagni, sono tranquilli e taciturni, ma quando sono insieme stanno bene... due veri e propri amici per la pelle, forse anche qualcosa di più. Il film ci racconta la loro storia attraverso tre archi narrativi distinti, che riassumono tre parentesi fondamentali nelle loro vite.

Takaki e Akari
Trama (gli spoiler partono da qui e andiamo sul pesante andante)
La prima parte, Ōkashō ("Il capitolo dei fiori di ciliegio") si sofferma sul grande viaggio del tredicenne Takaki. Alla fine delle elementari, Akari è costretta a trasferirsi nella prefettura di Tochigi mentre Takaki deve andare a Tokyo. Per intenderci, siamo sempre nella regione del Kantō, distanze abbastanza grandi, ma niente di insormontabile, diciamo due orette con i superfighi treni giapponesi. I due ragazzi continuano a scriversi lettere, raccontando le loro giornate e le loro sensazioni a cuore aperto. Purtroppo Takaki è nuovamente costretto a trasferirsi, questa volta a Kagoshima. Ben altra storia: parliamo della punta estrema meridionale dell'isola di Kyushu, qualcosa come 1400 km di distanza dalla capitale. Cosa che per un neo-adolescente diventa una distanza incalcolabile. Takaki prende d'impulso una decisione: saltare sul treno e raggiungere Akari per vederla di persona, almeno una volta ancora. Il viaggio diventa un'odissea: molti cambi di treno e, soprattutto, una grandissima nevicata che riesce a mettere in ginocchio il sistema ferroviario giapponese, causando un mostruoso ritardo al povero ragazzo. Per inciso, ve lo dicevo che Shinkai ama inserire tocchi di fantascienza nei suoi racconti, eccovi un fulgido esempio. Tornando al povero ragazzo, è facile intuire la sua frustrazione: il giorno diventa notte, i fiocchi di neve la sua unica compagnia, il freddo pungente un alleato contro la noia. Takaki teme di non trovare più nessuno ad attenderlo all'arrivo, chi sarebbe così folle da passare una notte nella stazione sepolta dalla neve? Quando finalmente il ragazzo scende dal treno, inaspettatamente trova Akari addormentata davanti ad una stufa, ad attenderlo. Qui lo dico e qui lo nego: non sottovalutate l'importanza di questa scena, perché è questa ad avere conseguenze nefaste sulla psiche compromessa del ragazzo. L'immagine di Akari addormentata davanti alla stufa è il momento in cui Takaki capisce di essere passato dalla friendzone alla perdizione fatale. I due ragazzi si abbracciano e passano l'intera notte a parlare. Sotto un ciliegio reso spoglio dalla neve, si scambiano un bacio tenero, a suggellare una promessa per il futuro.
I cieli di Kagoshima. Sembra una fotografia.
La seconda parte, Cosmonaut, vede un salto di qualche anno: siamo al liceo, Takaki si trova ancora a Kagoshima, splendida località dove si surfa abbestia e le giornate scorrono via tranquille, in pieno contrasto con la frenesia di Tokyo. L'intero arco narrativo è dal punto di vista della compagna di classe Kanae: follemente innamorata del ragazzo, è talmente timida ed insicura da non trovare mai la forza per dichiararsi. C'è qualcosa in lui che la attrae: lo vede sempre solitario e taciturno, ma con lei è gentile; un momento è chino sul cellulare a scrivere e-mail [2], quello dopo le sorride cordialmente. Forse qualcosa lo turba, l'unica cosa certa è che spesso lui ha lo sguardo perso nel vuoto, fisso all'orizzonte. Noi spettatori sappiamo cosa guarda: lui si immagina ancora con Akari, l'orizzonte non è che la meta a cui tendere, il luogo fantastico ed idealizzato dove lei lo sta aspettando.
Quando Kanae decide che è arrivato il momento di confessargli il suo amore, realizza che lui è in realtà irraggiungibile. Il capitolo si chiude con la ragazza che piange in camera sua, nel silenzio della notte, mentre noi scopriamo, non senza un pizzico di inquietudine, che Takaki in realtà non sta mandando a nessuno le email che scrive sul cellulare, le compone e le cestina.
La Tokyo del terzo arco narrativo.
Il terzo capitolo, Byōsoku 5 Centimeter ("5 cm al secondo"), è l'atto conclusivo: Takaki, adulto, lavora a Tokyo e continua a pensare ad Akari, che non ha più rivisto né sentito. Ancorato al ricordo struggente del passato, non riesce a provare sentimenti per altre ragazze (in diverse scene vediamo come lui rifiuti il contatto di una collega che gli muore dietro). Durante uno di quei giorni in cui la sua esistenza si trascina per inerzia, Takaki attraversa un passaggio a livello, incrociandosi con una donna. Prima che il treno gli copra la visuale, per un attimo riesce a scorgere il viso di Akari: lei non l'ha riconosciuto e continua nel suo frettoloso incedere. In questo momento parte un flashback accompagnato da una struggente canzone, in cui vediamo come Akari abbia dimenticato nel tempo il ricordo di Takaki e abbia iniziato una nuova vita con un'altra persona che sposerà di lì a qualche giorno. Alla fine del flashback, come una sorta di epifania, Takaki si rende conto di aver letteralmente buttato nel cesso gli anni migliori della sua vita ad inseguire un sogno rimasto tale... si licenzia dal lavoro e si incammina in una Tokyo buia e anonima ma in perenne movimento. Forse non è troppo tardi per dare una svolta alla sua vita?
*sbavo*
Commento
Neanche io so il perché abbia deciso di raccontare così nei dettagli questa storia, cosa che farò anche con un altro mediometraggio (Il giardino delle parole). Il motivo, probabilmente, è perché mi è rimasto qualcosa dentro. Ragionandoci più a freddo, penso di ricondurre il tutto alla prima parte, quella del viaggio di Takaki verso il paesino sperduto di Akari, non nascondo che sia il momento in cui, più di tutti, mi sono immedesimato nel protagonista. Ōkashō è la parte raccontata meglio, in assoluto. Sia come narrazione che, soprattutto, come immagini. L'inquietudine e la frustrazione del ragazzo bloccato in mezzo al nulla, in un Giappone insolitamente ostile e lontano dalla perfezione di Tokyo, traspaiono in modo vivido e convincente. Sono sincero, mi sono stupito molto nel leggere diverse recensioni in cui ci si lamenta della noia dei primi venti minuti. È vero, la storia è lenta (ma è una caratteristica di Shinkai), è introspettiva, non è nemmeno innovativa ma, secondo me, ha trovato la sua giusta dimensione. Gran parte del merito è sicuramente dovuto alle immagini, già in quest'opera di splendida fattura. Si vede come Shinkai abbia affinato la tecnica diventata poi il suo trademark: sfondi in computer graphic ritoccati manualmente in post produzione, su cui sono state applicate le animazioni in 2D dei personaggi. A parole è difficile da rendere, ma il risultato visivo è ottimo già in un film di ormai dieci anni fa. Non posso più, ad esempio, usare l’espressione “è invecchiato male” che ho scritto nella recensione di La voce delle stelle, perché se lo facessi mentirei a voi e a me stesso. 5 cm al secondo ha però, a mio parere, dei grossi difetti. Non è innanzitutto coerente ed omogeneo, soprattutto nella struttura narrativa. Da questo punto di vista, Shinkai è ancora molto acerbo. Trovo poco coerente l'alternanza dell'io narrante, che passa con eccessiva disinvoltura da Takaki ad Akari, con la parentesi, questa sì abbastanza inutile, di Kanae. Il risultato è poco omogeneo perché di fatto la storia è vissuta unicamente dal punto di vista del ragazzo e gli intermezzi con le voci delle due ragazze risultano troppo forzati. Lo stesso registro delle voci (mantenuto nell'appena sufficiente doppiaggio italiano, con le voci di Federico Zanandrea e Debora Magnaghi) è quasi disturbante: voci di ragazzi più che adulti associate a bambini, pensieri e parole in libertà con un timbro adulto che poco si confà all'età dei protagonisti. Sicuramente è cosa voluta, a mio avviso è invece un espediente ingenuo e di poco effetto. Gli stessi personaggi, essendo archetipi, peccano di caratterizzazione, almeno per come la vedo io. Takaki è monodimensionale nella sua ossessione, Akari è solo una idealizzazione, di Kanae vediamo poco sviluppo come personaggio anche se, a conti fatti, risulta la più interessante, chissà che in una narrazione a più ampio respiro non avrebbe potuto riservare qualche sorpresa in più? Per il resto, buona la regia, forse troppo netti gli stacchi fra i tre capitoli (ma il salto temporale è così largo che è difficile fare altrimenti).
Notare l'incredibile livello di dettagli. Qui siamo a Kagoshima.
Ah, dimenticavo: cosa significa il titolo "5 cm al secondo"? È una frase che, nella primissima scena, Akari dice a Takaki e fa riferimento alla velocità a cui cadono i petali dei ciliegi in fiore in primavera. Ce lo vedo, il Makoto, tronfio per aver trovato una frase ad effetto, divertirsi ad infilarla qua e là nei dialoghi dei suoi personaggi. Come un cerchio che si chiude, faccio notare come il passaggio a livello della prima scena, in cui si parla dei cinque centimetri al secondo, è lo stesso dell'atto conclusivo, segno che l'autore aveva ben chiaro lo sviluppo della storia, almeno come inizio e come fine; non è cosa negativa, peccato che il percorso sia risultato troppo accidentato.
Giudizio finale:
Storia: 4 - poco bilanciata e coerente, abbastanza semplice e raccontata per giunta maluccio. Il soggetto, va detto, è interessante. La prima parte è la mia preferita in assoluto, purtroppo la storia si perde clamorosamente per strada.
Regia: 8 - non nascondo il mio apprezzamento a questo aspetto, visivamente è davvero spettacolare ed alcune soluzioni sono anche molto efficaci. La cura del particolare è grandiosa e non posso non applaudirla. Le stesse animazioni dei personaggi, solitamente più legnose rispetto al resto del comparto visivo, hanno fatto un gran bel balzo in avanti.
Musiche: 6 - le musiche di Tenmon, fatte di solo pianoforte, creano un'atmosfera angosciante e drammatica. Dopo un po' diventano però stancanti.
Ritmo: 4 - lento, a tratti forse noioso. Non si può pretendere un ritmo alla Fast & Furious (rido io per primo di fronte all'assurdità del paragone) per un film dichiaratamente introspettivo, certo un maggiore brio nella narrazione non avrebbe guastato.
Violenza: 5 - assente; potrei fare la battuta che la sua lentezza esasperante può diventare violenza psicologica nei confronti dello spettatore, ma non lo faccio. Ops, l'ho appena fatto.
Humour: 4 - Totalmente assente, Shinkai è serio e serioso.
XXX: 0 - nulla da segnalare
Globale: 6 - il giudizio non è facile, per me. Facendo un riduttivo calcolo matematico, potrei cavarmela dicendo che è la media dei tre capitoli: 8 il primo, 4,5 il secondo, 5,5 il terzo, anche se sono consapevole di essere fra i pochi a preferire la prima parte alle altre due. Avrei anche potuto dargli qualcosa più vicino ad un 7 perché in fondo il film mi ha emozionato. Purtroppo non posso nascondere i grossi difetti che ho evidenziato nella recensione, che minano il giudizio globale. 5 cm al secondo resta, in ogni caso, un film che merita una chance, non è detto che non possa piacervi, basta che sappiate a cosa state per andare incontro.

Stazione della metropolitana di Tokyo

La classe di Takaki


2011 - Viaggio verso Agartha / I bambini che inseguono le stelle  ("Hoshi o ou kodomo")

Locandina dell'edizione italiana Kazé
Locandina dell'edizione italiana Dynit (2019)

Livello di spoiler: PAN DI STELLE [son dolce, non vi rovino la trama]

Nota preliminare importante: questo film ha avuto due edizioni italiane, la prima col titolo “Viaggio verso Agartha” (2012), la seconda con il titolo “I bambini che inseguono le stelle” (2019). Per comodità, la recensione continuerà ad usare il vecchio titolo, ma oggi a tutti gli effetti il film si può trovare con quello nuovo, più aderente all’originale.

Studio Ghibli a manetta (1) Asuna e Shun
Passa qualche anno in cui il Nostro si gode un (meritato?) riposo, ma l'ispirazione giusta non tarda ad arrivare. Già in questi anni comincia a circolare, da parte di fan e critica, l'accostamento a Miyazaki e allo Studio Ghibli, che Shinkai ha sempre rifiutato con la giusta dose di umilté e deferenza nel rispetto di un mostro sacro. Poi qualcosa deve essere scattato nella sua mente ma, sapete, non ho la più pallida idea di cosa abbia veramente pensato quando ha proposto Viaggio verso Agartha allo studio, e ancor meno so cosa abbiano pensato quando gli hanno dato il via libera per la produzione. Hoshi o ou kodomo, letteralmente "Bambini che inseguono le stelle", fin dalla primissima sequenza, fra strabuzzare gli occhi degli spettatori da quanto è simile ad un'opera dello Studio Ghibli. Non solo per i fondali dipinti a mano, con uno stile artistico molto più vicino a quello di Miyazaki che a quello più spigoloso e moderno di Shinkai, ma anche per lo stesso character design più tondo e morbido; io stesso, alla prima visione, sono rimasto leggermente spiazzato, ricordo che mi sono chiesto: "Ma dai, Makoto è passato alla corte di Takahata e Miyazaki?" Poi si nota il livello delle animazioni, pur sempre ottime, ma non al livello di fluidità di quelle dello studio più blasonato; lo stesso Shinkai non aspetta troppo tempo a spazzare via ogni dubbio: un mostro orribile semina panico nel paesino e la sua morte è fin troppo cruenta e sanguinosa per essere uscita dallo Studio Ghibli. Tirato un sorriso di sollievo - un plagio così smaccato sarebbe stato eccessivo - tuffiamoci nella trama e nel mondo di una produzione per molti versi atipica rispetto agli altri lavori di Shinkai, sia precedenti che successivi.
Studio Ghibli a manetta (2) il paesino di Asuna
La protagonista è la dodicenne Asuna Watase, che vive in un paesino delle montagne in una zona non ben precisata del Giappone e in un periodo più vicino agli anni '70 che a quello odierno (lo si capisce dal design delle auto e dell'immancabile treno che compare in una delle prime sequenze, altre scene successive ci faranno però capire che siamo in un universo alternativo al nostro). Asuna, a causa della sua situazione familiare, è costretta a vivere da adulta più di quello che la sua età imporrebbe; il padre è mancato anni prima, lasciandole in ricordo uno strano cristallo azzurro iridescente; la madre lavora come infermiera nell'ospedale vicino e, a causa dei turni massacranti, non è quasi mai a casa. La piccola si barcamena tra le attività quotidiane, cucinando per sé e la mamma, lavando i panni e trovando anche il tempo di essere la prima della classe. Non è per nulla antipatica, tutt'altro, ha uno spirito intraprendente ed è dannatamente curiosa. Quando non deve studiare e ha già finito con le faccende di casa, trova pure il tempo di fare qualche scorribanda nei boschi sul pendio della montagna, in cui si è ritagliata un piccolo rifugio dove evadere, sognare ed ascoltare la radio a galena ricevuta dal padre prima della sua morte. Tranquilli, prima di oggi non sapevo cosa minchia fosse una radio a galena, l'ho sempre detto che sono ignorante - l'ho appreso leggendo la pagina su Wikipedia.
Asuna ascolta la radio insieme al gattino Mii
Dicevo: tempo prima, grazie alla radio, Asuna ha captato una stranissima canzone che le è entrata dritta nel cuore, malinconica, struggente, veicolo di emozioni che non ha mai provato né prima né dopo. Durante una delle sue sortite in direzione del suo rifugio segreto, la ragazzina capisce che c'è qualcosa che non va; quando all'improvviso le si para di fronte un mostro maleodorante e sanguinante, accecato dalla rabbia e dal dolore, non riesce a muovere un passo da tanto è l'orrore provato. Prima che il mostro la uccida, interviene a salvarla uno strano ragazzo dai capelli lunghi che, dopo un combattimento serratissimo, riesce ad avere la meglio sulla bestiaccia, pur restando gravemente ferito al braccio. Nel curarlo (è figlia di un'infermiera, ricordiamolo!), Asuna stringe amicizia con il ragazzo, che le rivela di chiamarsi Shun e di provenire da Agartha, un mondo fantastico sotterraneo. Egli è tornato in superficie in cerca di qualcosa - non rivela cosa - poi guarda la ragazzina dritta negli occhi e le dà una benedizione speciale: un bacio innocente sulla fronte. Con l’arrivo della notte i ragazzi si separano, promettendo di rivedersi il giorno dopo. Shun guarda la volta celeste e sospira: sa che non potrà mantenere la parola, la sua morte sta arrivando inevitabile. Di fronte al gatto Mimi, che sicuramente non è estraneo a quello a cui sta assistendo, il ragazzo si lascia cadere nel burrone perdendo la vita, ma felice di aver compiuto la sua missione. Il giorno dopo è denso di emozioni per Asuna. Prima apprende dalla madre della morte di Shun (la polizia ha trovato il suo corpo in fondo al fiume, con al braccio la sciarpa che la ragazza aveva usato per medicarlo), in seguito fa la conoscenza del nuovo professore di letteratura, Ryūji Morisaki, che esordisce con una lezione inquietante sul mito di Izanagi ed Izanami (gli Orfeo ed Euridice della mitologia nipponica, qui una veloce panoramica) e su Agartha, la terra dei morti.
Il dialogo col professore. Notare l'uso dei colori e delle luci.
Inutile sottolineare come questo nome catturi l'attenzione di Asuna, che la sera va a trovare il professore; questi le rivela di aver perso la moglie anni prima e di non essere mai stato in grado di accettarne la morte. Morisaki è alla ricerca di Agartha perché è convinto che nella terra dei morti sia possibile ridare la vita ai defunti. Presto la situazione subisce una bella accelerata: nel tornare a casa, mentre un elicottero militare irrompe sulla scena, Asuna incontra un ragazzo molto simile a Shun, la cui attenzione è richiamata dal cristallo custodito dalla ragazza, cristallo che si scopre essere una chiave che apre il portale di accesso per Agartha. Non mi dilungo ulteriormente: dopo una serie di eventi concitati, Asuna, il professore Morisaki e il nuovo ragazzo Shin - ovviamente fratello di Shun - entrano in Agartha, e qui comincia l'avventuroso viaggio alla scoperta del mito della vita e della morte.
Una delle immagini più suggestive del film.
Ciliegi pure qui...
Commento
Tutto molto figo, nevvero?
Lo confermo annuendo con convinzione. Ogni elemento descritto nelle righe precedenti concorre ad esaltarmi come un caimano, c'è praticamente tutto quello che incontra i miei gusti: ambientazione prima realistica ricostruita fin nei minimi particolari, poi diventata smaccatamente fantasy man mano che la storia prosegue; disegni da urlo, animazioni di primo livello, colori strepitosi, sia nelle scene chiare che in quelle dove il buio diventa attore principale; una protagonista ben caratterizzata, almeno come presentazione iniziale; il sense of wonder dello Studio Ghibli, quello che si è respirato negli anni '80, fino ad arrivare ad un tono più cupo, splatter in certi punti, che va oltre a quello che avevamo visto in Princess Mononoke (1997). Insomma, al terzo tentativo si può affermare che Makoto Shinkai abbia centrato il bersaglio. Peccato non sia tutto oro quello che luccica e che anche Viaggio verso Agartha soffra delle solite problematiche che affliggono molte delle produzioni del regista. Innanzitutto, l'aver voluto innalzare l'asticella per potersi scontrare frontalmente con lo Studio Ghibli, e praticamente sul loro stesso terreno, può essere visto o come un imperdonabile atto di presunzione (cosa che non è, lo specifico bene) o di scellerata incoscienza (cosa abbastanza probabile). Restando nel campo della mitologia con pedestri metaforone tanto care a Makoto, potrei affermare che, così come Icaro si è bruciato nel cercare di volare verso il sole, allo stesso modo Shinkai si è ritrovato con qualche osso rotto dopo lo scontro con il suo grande ispiratore, pur ammettendo una resa onorevole. Perché dico questo?
Mononoke Hime puppami la fava!
Prendi Princess Mononoke e Nausicaa (tutta la parte relativa alle creature mitologiche guardiane dei portali, qui chiamate Quetzalcoatl, così come la rappresentazione divina della Natura, sono prese di peso da Mononoke Hime), Laputa - il castello nel cielo (l'ambientazione stramba, il cristallo azzurro), Kiki Delivery Service (la radio, il gatto come compagno di viaggio, la protagonista Asuna), mischiali fra loro e spera che il pubblico apprezzi; purtroppo il rischio più grande in cui puoi incorrere è il provocare una straniante sensazione di déjà vu. È impossibile non chiedersi: "Shinkai sta scimmiottando Miyazaki o ci mette del suo?" Se poi ti accorgi che, grattata la strepitosa patina con cui il regista ti stordisce fin dall'inizio, le sue solite magagne emergono dirompenti, ecco, non puoi fare a meno di storcere il naso. Rispetto a Oltre le nuvole, lo ammetto, la trama deraglia molto meno, sbandando qualche volta ma portando a casa un onorevole risultato; purtroppo ci sono alcune scelte di sceneggiatura poco chiare o dimenticate o, peggio ancora, incoerenti (non si spiega cosa spinga alla morte Shun, né il perché si sia sentito così appagato nell'andare in superficie); la stessa indecisione di Asuna in un paio di snodi fondamentali stride con il suo carattere forte ed indipendente, anche se in fondo si tratta di una bambina di dodici anni. La motivazione che Shinkai adduce nel giustificare la testardaggine della bambina a proseguire nel viaggio in Agartha è stata per me fin troppo pretestuosa e forzata, anche se accettabile a denti stretti. 
Treni pure qui... c'è riuscito.
Il problema più grosso di Asuna, probabilmente, è il suo crescere poco come personaggio. Lei non agisce ma reagisce alle situazioni, spinta in balia degli avvenimenti e dei personaggi che incontra. Anche qui ci ripetiamo: "È una bambina, in fondo". Epperò risolvere ogni obiezione con questa giustificazione diventa abbastanza stucchevole e poco elegante. Semplicemente, Shinkai avrebbe potuto (e dovuto) porre una maggiore attenzione ai particolari di trama e di caratterizzazione, cosa che, ad esempio col professore, ha funzionato meglio: uno dei personaggi più convincenti, ad incarnare l'incapacità dell'essere umano di elaborare il lutto ed accettare più serenamente il concetto di morte. Invece, come al solito, il regista ha preferito spingere il pedale dell'acceleratore sull'aspetto tecnico-visivo, ottenendo un film con dei picchi di bellezza assoluta, ma abbastanza superficiale nel trattare gli spunti introdotti e che non vengono sviluppati, ma anzi lasciati perdere. Torniamo al solito discorso: anche Viaggio verso Agartha è poco bilanciato, pur avendo dalla sua un pregio di non poco conto: le forzate seghe mentali di adolescenti depressi sono state accantonate a favore di un'avventura a più ampio respiro. Forse questo è il motivo principale per cui Agartha è il film meno apprezzato dagli irriducibili fan del regista: non me ne vogliano questi ultimi, ma mi sento di affermare con forza che a mio avviso, il film meno "makoto-shinkaiano" di tutti è quello al momento più riuscito, lineare, godibile. Già domani avrò voglia di ri-godermelo con gusto, anche solo per cogliere qualche particolare che mi è sfuggito ad una prima (e ad una seconda) visione.
Casa di Asuna. I dettagli sono clamorosi.
Dato che vi sto apertamente consigliando di guardarlo - foss'anche solo per smentirmi e dirmi che sto scrivendo un mucchio di fregnacce - cercate di seguire un secondo consiglio. Guardatelo in lingua originale, rigorosamente con sottotitoli di qualche gruppo di fansub (italiano o inglese, a seconda della vostra sensibilità). Non provate nemmeno ad avvicinarvi all'edizione originale italiana, uno dei peggiori prodotti mai pubblicati - di sempre, in assoluto, nei secoli dei secoli. L'edizione è della francese Kazé che per il doppiaggio italiano si è avvalsa di un adattatore francese e per le voci ha usato ragazzi e ragazze italo-francesi non professionisti che cercano disperatamente di leggere con accento italiano, finendo per generare, purtroppo, un miscuglio incomprensibile ed imbarazzante. Se avete presente la battuta storica "Vorrei una stonsa" pronunciata dall'Ispettore Clouseau di Peter Sellers nel fantastico La pantera rosa di Blake Edwards, capirete benissimo. Gli stessi sottotitoli, una traduzione resa in un italiano desolatamente approssimativo, sono altrettanto inutili. Diamo a Cesare quel che è di Cesare, questa edizione è una Vera Merda. Non voglio passare per quello che incentiva la pirateria, ma l'edizione Kazé è un insulto prima di tutto verso l'autore, in secondo luogo verso il pubblico italiano che, dovendo cacciare il grano, si aspetta e pretende giustamente di avere tra le mani un prodotto quantomeno valido e professionale.
Per fortuna, nel 2019 la Dynit ha ridoppiato il film, pubblicandolo in DVD e Bluray con il titolo “I bambini che inseguono le stelle”, restituendo dignità ad un’opera altrimenti massacrata. Il giorno in cui succederà lo stesso con le opere Studio Ghibli senza gli orrendi adattamenti di Cannarsi, potrò morire felice… ma purtroppo questa è un’altra (lunga e triste) storia.
Giudizio finale:
Storia: 6 - le solite magagne di Shinkai, scelte di trama forzate ed azzardate, non sono così gravi da minare la fruizione della storia. A mio avviso, il frullato di mitologie asiatiche, occidentali e centroamericane ha generato qualcosa di quasi originale (non mi sbilancio troppo).
Regia: 8,5 - Shinkai è, registicamente, una garanzia, ad ogni produzione il livello visivo migliora a vista d'occhio, e Viaggio verso Agartha non fa eccezione. Questo è un film davvero gustoso alla visione.
Musiche: 6 - l'immancabile spaccacoglioni Tenmon ci ammorba con il suo solito commento musicale, qui coadiuvato da un'orchestra che aggiunge sostanza e varietà alle azioni più concitate.
Ritmo: 6,5 - il voto è perfino basso perché con un'ambientazione fantastica di questo livello ti aspetti di vivere un'avventura frenetica... ma Shinkai riesce ad essere lento e prolisso anche in questa occasione, senza mai raggiungere - per fortuna - il Livello Mortale del Tedio che io aborro.
Violenza: 6,5 - non male alcune scene forti ed inquietanti, se è necessario Shinkai ci mostra il sangue, eccome. 
Humour: 5 - registro comico nullo, si prosegue sul solco della tradizione del regista.
XXX: 0 - nulla da segnalare
Globale: 7,5 - promosso su tutta la linea, Viaggio verso Agartha è il film più atipico di Shinkai, nel senso che esce dai suoi soliti schemi ma che, a causa di questo, finisce per diventare troppo ordinario o simile ad altre produzioni. A salvarlo, neanche a parlarne, è la superlativa qualità grafica. Il voto finale non riflette il giudizio sulla versione italiana, talmente oscena che abbasserebbe la valutazione finale ad almeno un secco nonché desolante 4, altamente ingiusto nei confronti di Shinkai.

Uno scorcio di Agartha


2013 - Someone's Gaze ("Dareka no Manazashi")

L'appartamento di Aya
Livello di spoiler: MA PER FAVORE [Tutto, vi dico, tutto!]

Stavolta vado giù col piede a martello: Makoto Shinkai è un grande stronzo e un abile paraculo. Con Someone's Gaze (letteralmente, "lo sguardo di qualcuno") e in soli sei minuti e quaranta secondi è riuscito, in sequenza, a:
  • Infilarci la stragrande maggioranza dei suoi marchi di fabbrica;
  • Costruire una storia basata sul nulla ma con un senso compiuto, iniziale e finale;
  • Alzare, se possibile, la qualità di disegni, fondali, animazioni;
  • Emozionare facendo leva su sentimenti banali, semplici, di facile presa, sapendo che chiunque può immedesimarsi nei personaggi.
La protagonista Aya
C'è il treno? Certo, proprio all'inizio, lo usa per presentarci Aya, la prima dei tre protagonisti. C'è la tecnologia? Ovviamente sì, addirittura questa storia è ambientata in un futuro molto vicino a noi, ma con qualche gadget sfizioso come il telefono a proiezione, quello che usa il padre di Aya, il secondo personaggio principale. C'è un gatto? Ma non scherziamo, c'è eccome! La micia Mii è il terzo protagonista nonché l'io narrante del cortometraggio. Poi troviamo il tipico tono dimesso e drammatico, c'è un evento tragico, c'è il flashback, s'ode il pianoforte (non c'è Tenmon, yeah!), c'è una canzone a tre quarti di storia, c'è la sublime esplosione di gamma cromatica e, udite udite, c'è un finale nonostante si capisca benissimo come la storia prosegua tranquillamente.
Aya si è conquistata da poco l'indipendenza economica: lavora, vive sola, probabilmente non è ancora felice perché sta cercando la sua giusta dimensione. Un giorno, uguale a tanti altri, viene rimproverata sul lavoro e torna a casa abbattuta. Mentre è coricata sul letto a rimuginarci su, riceve la chiamata del padre, che le dice di essere passato lì vicino per caso e se lei ha voglia di uscire a mangiare con lui. Lei declina con una bugia, lasciando il papà solo sul ponte sottocasa dove si trovava; anche lui ha appena mentito, non era lì per caso, ma aveva una gran voglia di rivedere sua figlia... e anche lui era appena stato rimproverato sul lavoro. Questa semplice scena di vita quotidiana ci viene raccontata dalla voce della gatta Mii, molto anziana e malata. Ed è, forse, l'ultima a cui la micia, che vive in casa del papà, assiste prima di morire. Quando la notizia giunge ad Aya il giorno dopo, ecco che impetuosi sgorgano i suoi ricordi, che ci spiegano a come si è giunti alla situazione familiare che stiamo vedendo: la mamma di Aya per lavoro è costretta ad andare all'estero fin da quando la ragazza era bambina; per alleviare il suo senso di solitudine, il papà le prende la gattina Mii. Aya cresce, diventa ragazzina poi adolescente e plana nell'età della ribellione, in cui inizia il suo distacco dalla famiglia e la distanza fra lei e suo padre aumenta per la sua voglia di indipendenza. Mii, pur essendo un semplice gatto, percepisce quello che sta accadendo, sa che è naturale che le cose vadano così, e sa anche come padre e figlia nonostante tutto si vogliano ancora bene. Sarà però la sua morte a riavvicinare Aya al padre. Il tempo passa, scandito dai ciliegi in fiore, Aya torna a trovare il padre perché c'è una grossa novità: si è preso una nuova micia pronta a tenergli compagnia. Mentre la ragazza accarezza la cucciola, suona il campanello: la mamma è tornata e la famiglia è finalmente di nuovo unita.
Il padre e la micia Mii
Il ciclo della vita, semplice e allo stesso tempo intenso, spiegato con poche scene. Someone's Gaze, partendo come una sorta di upgrade di Lei e il gatto, è in realtà il Bignami di Makoto Shinkai e ne racchiude tutta la sua essenza. Se non avete voglia di guardarvi tutti i medio e lungometraggi oggetto del mio articolo, potete tranquillamente puntare a questo per cogliere la sua visione e assaporare i soliti splendidi disegni. La durata è talmente breve che le emozioni sfuggono lievi, lasciando giusto una traccia del loro passaggio senza sedimentarsi come potrebbe succedere con 5 cm al secondo, giusto per fare un esempio. Per quanto mi riguarda, Someone's Gaze è promosso a pieni voti, difficilmente si riesce ad essere così efficaci avendo a disposizione così poco tempo.
Essendo un corto, mi limito a dare un giudizio unico, non ha senso spezzarlo nelle solite voci.
Voto Globale: 7 - Someone's Gaze è un piccolo gioiello, minimalista nella sostanza, ma non nella forma, che riesce a toccare diversi temi come la crescita, la ribellione, la distanza, la felicità, il rapporto padre-figlia non facile e lo fa in modo leggero, che va dritto al cuore. Non è melenso e nemmeno pesante, penso sia il suo pregio più grande, anche se, devo ammetterlo, Shinkai è andato sul sicuro utilizzando temi di facile presa. Se proprio devo muovere una critica è proprio questa: troppo facile giocare la carta del sentimentalismo sfruttando la morte di un animale domestico (chi ne ha uno capirà benissimo cosa si prova) o le implicazioni di un rapporto padre-figlia durante un momento delicato della crescita; a parziale difesa dell'autore posso però dire che in sei minuti, se vuoi raccontare emozionando, sei quasi obbligato a percorrere una strada che faciliti l'immediatezza nello spettatore.

2013 - Il giardino delle parole ("Kotonoha no Niwa")

Locandina dell'edizione Nexo Digital per il cinema
Livello di spoiler: LETALE [vi spiattello tutto, anche nel commento]
Un particolare del parco. Immaginatelo in movimento.
Non sapete quanto vorrei conoscere cosa è passato per la mente di Shinkai e come siano andate davvero le cose. L'artista mi ha sempre dato l'idea di non dare molta retta alle opinioni dei fan e di voler continuare imperterrito per la sua strada. Certo è che con Il giardino delle parole, è andato ad offrire forse il picco - fino ad oggi, beninteso - del suo stile narrativo, ovvero dare in pasto allo spettatore una non-storia, confezionata in modo superbo ed avvolgente. Non saprei trovare altre parole per descrivere il mediometraggio di 46 minuti scarsi in questione. Mi spiego meglio: fino a che punto Shinkai ha ascoltato (o non ascoltato) le critiche dei fan su Viaggio verso Agartha? Il fanboy si aspettava un'opera di pippe mentali esistenziali adolescenziali e l'autore se ne è uscito con un bellissimo, ma imperfetto, film avventuroso dove ha deviato grandiosamente rispetto al sentiero che fino ad allora aveva percorso, ed è questo il motivo principale delle critiche piovutegli addosso. Il giardino delle parole è quindi un deciso, eclatante, ritorno alle origini, è come se fosse esattamente quello che gli appassionati chiedevano. Fino a che punto allora Agartha è da considerarsi un incidente di percorso, e fino a che punto invece Il giardino delle parole è stato un voler accontentare la voce del popolo? Insomma, qual è il vero Makoto Shinkai?
Trama (gli spoiler partono da qui)
Shinjuku Gyon, il polmone verde dell'omonimo quartiere
Takao è uno studente quindicenne di Tokyo con uno strambo sogno nel cassetto: quello di diventare un abile calzolaio. Sì, proprio uno di quei lavori di fine artigianato che stanno scomparendo, inghiottiti dalla grande produzione industriale standardizzata e che mai immagineresti come ambizione personale di un ragazzo che vive nella capitale. Siamo in estate ed è appena iniziata la stagione delle piogge. Se la mattina piove, Takao bigia la scuola e si rifugia nel parco di Shinjuku Gyoen, dove in solitudine passa il tempo ad esercitarsi sui disegni di scarpe, la sua unica e vera passione. Durante una di queste mattine uggiose, sotto la stessa tettoia, incontra una misteriosa donna, che legge in silenzio un libro, mangia barrette di cioccolata e beve birra. Lo stesso accade il secondo giorno di pioggia - lui bigia, lei non si presenta al lavoro - poi il terzo e così via, trasformando un incontro casuale in una sorta di ripetuto rituale, ma sempre e solo rigorosamente nei giorni di pioggia. Quando c'è il sole, lui si ripresenta in classe e lei... non si sa.
Scena di uno degli incontri.
Come è ovvio immaginare, i silenzi iniziali si trasformano in parole scambiate di sfuggita per sfociare in dialoghi dove entrambi imparano a conoscersi sempre di più, pur senza essersi mai presentati ufficialmente. Di Takao sappiamo che vive col fratello maggiore e la madre e che pur di inseguire il suo sogno, nel tempo libero è disposto a fare lavori part time; è timido ed introverso, ha pochi amici e difficilmente si confida con qualcuno. Della donna sappiamo che si chiama Yukari, ha 27 anni, ben 12 in più del ragazzo, e che sta soffrendo di disturbi alimentari, associati ad un elevato stress dovuto a qualcosa capitatole in passato. Quando la donna manifesta un certo interesse nei disegni di Takao, ecco che lui, per la prima volta, apre il suo cuore e confida ad una perfetta sconosciuta i suoi sogni. Colpita dalle parole del ragazzo, Yukari gli regala un costoso libro sull'arte della fabbricazione di scarpe. Toccato dal dono, Takao vuole assolutamente ricambiare costruendo con le sue mani delle scarpe bellissime da regalare a Yukari. Non ci vuole un genio per capire come sia facile, per un adolescente dello stampo di Takao, prendersi una cotta per una bellissima donna, matura e misteriosa a causa della sua reticenza nel parlare di sé. Più passano i giorni, più entrambi, segretamente, sperano che la pioggia continui per potersi rivedere nella splendida cornice offerta dal parco. Arrivano le vacanze estive, finisce la stagione delle piogge e il sole torna a splendere come non mai... ed entrambi, mantenendo assurdamente fede al rito, smettono di recarsi al parco; il ragazzo lavora per racimolare soldi, lei cerca di trovare una direzione, un senso alla sua vita. Quando la scuola riprende, camminando per i corridoi antistanti le classi, Takao incrocia Yukari, che viene salutata con deferenza da alcuni studenti: nel modo più imbarazzante possibile, scopriamo che lei ha lavorato come insegnante proprio nella scuola del ragazzo e che si era presa una pausa per alcuni problemi. Un compagno di classe racconta al ragazzo cosa fosse successo realmente: uno studente si era follemente innamorato dell’insegnante, e qualche compagna di classe, indispettita e gelosa, aveva fatto circolare brutte voci sulla professoressa, creando uno scandalo non indifferente. Pur incolpevole, Yukari aveva preferito allontanarsi dalla scuola per riprendersi dallo shock e, detto con parole sue, "per riprendere a camminare con le proprie gambe." Quella mattina, però, lei si era presentata per dare le proprie dimissioni dalla scuola. Takao, ormai irrimediabilmente ottenebrato, non ci sta: rintraccia la ragazza che aveva fatto circolare le brutte voci e le rifila un sonoro ceffone. Il risultato è una rissa col moroso di lei, che lo pesta malamente. Lo stesso pomeriggio, malconcio e in un certo qual modo orgoglioso per aver agito da macho nonostante ne abbia prese un sacco e una sporta, Takao ritorna al parco, certo di poter rivedere la donna. Proprio quando si incontrano, si scatena un violentissimo temporale, a causa del quale i due sono costretti a trovare rifugio nella casa di lei. Sarà il clima informale, sarà l'effetto della tempesta, sarà l'imbecillità insita in un normale quindicenne impacciato nonché in preda all'ormone, ma Takao sceglie proprio questo momento per dichiararsi a Yukari; la donna lo respinge, immaginiamo tutti non senza dispiacere, facendo scappare il ragazzo con la coda fra le gambe. Nella mente della donna scatta un mega flashback con tanto di canzone come nel miglior stile di Shinkai, alla fine del quale Yukari si precipita all'inseguimento di Takao. Siamo alla fine della storia e arriviamo al confronto che tanto impazientemente stavamo aspettando. Sulle scale del palazzo, mentre il sole fa nuovamente capolino, i due litigano, lui a dirle che la odia per averlo illuso, lei in lacrime perché schiacciata dall'imposizione di una società che non le potrà far accettare l'amore di un ragazzino molto più giovane di lei. Takao e Yukari, in un mare di lacrime, si abbracciano senza dire altro. Passano sei mesi, lui supera a fatica l'esame finale della scuola e colmo di orgoglio si reca per un'ultima volta al parco di Shinjuku con una lettera in mano ed un paio di bellissime scarpe, quelle che lui ha finito di preparare per Yukari, e che lascia sulla panchina deserta, con la speranza che lei un giorno possa tornare a prenderle, pronta "a camminare con le proprie gambe." Nella scena post titoli di coda, scopriamo il destino della donna: ripreso il lavoro di insegnante in un'altra città, guarda verso l'orizzonte sospirando: i suoi pensieri sono sempre rivolti a Takao, che nello stesso momento si sta allontanando dal parco, certo di poter incontrare nuovamente Yukari, quando entrambi saranno pronti.
Sono un fan dei disegni di Shinkai, non so se l'avete afferrato.
Tokyo in un giorno di pioggia.
Commento (gli spoiler continuano, perdinci)
C'è qualcosa di strano ne Il giardino delle parole, e per spiegarlo vi racconto un velocissimo aneddoto. A guardarlo sono io in salotto, con La Moglie seduta di fianco che spippola sul cellulare, divisa tra la visione distratta del film e Marvel Puzzle Quest a cui sta giocando in quel momento. Arrivati a metà visione, estasiato dallo splendore dei disegni e dalle vette clamorose a cui Shinkai è arrivato in così poco tempo in confronto ai lavori precedenti, ecco, proprio mentre sto per esternare il mio apprezzamento, La Moglie mi fa morire qualunque frase stessi per pronunciare guardandomi negli occhi, la sua bocca a forma di O, dicendomi semplicemente: "Ma che palla è?"
Colpito da queste parole con l'effetto di una frustata, mi sono zittito e ho continuato nella visione, rimuginandoci sopra in mesto silenzio. Poi ho capito. Shinkai, per l'ennesima volta, è riuscito a fregarmi, sempre con lo stesso metodo, questa volta ingigantito nel bene e nel male. Questo film ripiomba esattamente negli stessi problemi di quelli precedenti ad Agartha, anzi li estremizza; il regista torna a stupire per la meticolosità dei disegni e dei particolari, ma lo fa davvero in modo pazzesco, a memoria non ricordo di aver visto una qualità visiva così elevata (Your Name. lo supererà, tranquilli).
La quiete dopo la tempesta.
Basta guardare le foto reali del parco di Shinjuku Gyoen e confrontarle con i fondali mostrati qui: la verosimiglianza è notevole, non posso fare a meno di applaudire convinto. Il giardino delle parole è però fottutamente lento, è uno stillicidio di azioni che si ripetono; cambiano i vestiti, le inquadrature, le parole scambiate, ma è un continuo rincorrersi di sguardi e frasi brevi, incorniciate da un'ambientazione in cui il tempo sembra fermarsi, sospeso tra le nuvole e il verde cangiante degli alberi del parco. Il tono delle voci, soprattutto dell'io narrante (Takao), è sussurrato e per giunta irritante nel suo continuare a mantenersi sullo stesso registro per la maggior parte della narrazione. Le solite angoscianti note strimpellate sul pianoforte fanno da contraltare ad una, per me, bellissima canzone a tre quarti, ma la sostanza non cambia: Shinkai è riuscito nell'intento di non raccontare NULLA rendendolo comunque interessante. Certo, se seguite distrattamente il film come ha fatto La Moglie, sarà inevitabile giungere alla conclusione di aver assistito alla versione malriuscita di 2001 Odissea nello Spazio interpretato da un adolescente depresso mentre fuori piove sempre e non succede un cazzo di niente. Il giardino delle parole, per poter essere assaporato fino in fondo, richiede attenzione, non tanto cognitiva nel seguire la storia (che non c'è: la sceneggiatura si può riassumere in una paginetta scarsa), quanto nel seguire i particolari infilati a forza in ogni inquadratura. È un film che vuole essere assaporato come una musica ascoltata alle cuffie, nel buio della cameretta, con la differenza che non devi stare ad occhi chiusi, ma devi tenerli ben aperti. Il film, va detto, contiene dei momenti davvero ben realizzati, indipendentemente dallo svolgimento della storia.
Tentativo di seduzione involontario? Chissà.
Per esempio, tutta la parte in cui la regia segue con esagerata attenzione i movimenti di Takao mentre prende le misure dei piedi di Yukari per iniziare a disegnarle le scarpe, è molto intenso e aggiunge perfino un tocco di sensualità alla scena pur non essendoci un secondo fine erotico per nessuno dei due; lo stesso uso della pioggia come mezzo narrativo per sottolineare l'intensità delle emozioni in gioco è interessante: se all'inizio le gocce sono semplici ticchettii gentili che danno il via agli eventi, sarà con il temporale finale che finalmente i due troveranno modo di chiarirsi in un turbinio di emozioni; infine, a chi critica una mancanza di conclusione della storia, posso rispondere dicendo che, in fondo, il finale è chiaro e ben delineato, sta solo alla sensibilità di ciascuno il compito di immaginare un futuro per i due. Proseguendo nella tradizione tutta nipponica in cui lo spiegone diventa inutile e ridondante, anche in questo film non è necessario vedere con i propri occhi come proseguirà la storia. Per me è palese che lei indosserà quelle maledette scarpe, è lapalissiano che le strade si incroceranno nuovamente per entrambi e che... chissà, in futuro possano mettersi davvero insieme, lasciando alle spalle le convenzioni che, in una società ancora chiusa come quella giapponese, inevitabilmente continuano ad essere un ostacolo.
Uno dei (tanti) momenti di incontro nel parco.
La storia d'amore, se così vogliamo definirla, è chiaramente platonica, noi assistiamo semplicemente a momenti in cui due personaggi che vivono in solitudine, cercano di riempire il vuoto dentro solo grazie al fortuito incontro vissuto nel giardino. Magari per qualcuno di voi sarà ovvio l'esatto opposto, che quella di Takao era una semplice infatuazione adolescenziale come ne succedono a milioni durante quell'età e che, quando sarà adulto per davvero, lui stesso la relegherà in un angolino come "semplice ricordo di gioventù". In fondo, anche questo è il bello di un film del genere, non lo vedo necessariamente come un peccato grave. Ci può, al limite, rimanere il dubbio su cosa volesse davvero comunicarci il regista. Io una risposta ce l'ho: nulla. Colpo di scena, vero? Shinkai non vuole comunicarci un messaggio, lui vuole solo emozionarci. Di difetti, come sempre, ce ne sono anche qui, altrimenti non parleremmo di un film tipicamente "shinkaiano". La lentezza, come già detto, per molti diventerà una zavorra allucinante; la sceneggiatura, in alcuni suoi passaggi, soffre di notevole ingenuità. Il simbolismo ripetuto ad ogni piè sospinto (notare il mio finissimo gioco di parole) per il quale saranno le scarpe di Takao a far camminare Yukari con le proprie gambe ha sfracellato i maroni già alla seconda volta in cui ci viene mostrato. Come successo in altri lavori, nemmeno questo film si salva dal difetto di essere poco bilanciato: la lentezza esasperante prosegue per quasi tutto il film, fino ad arrivare ad una brusca accelerazione giusto negli ultimi dieci minuti. Mi si dirà che è cosa voluta, ma a me ha lasciato un po' l'amaro in bocca; avrei preferito senz'altro una compressione dei minuti di tedio iniziale a favore di un maggiore sviluppo dei personaggi, soprattutto di Yukari che, pur essendo interessante e affascinante, non decolla veramente se non in qualche scena sporadica (quando è sola a casa sua, quando insegue Takao per le scale del palazzo). 
Il fratello di Takao e la morosa. Uno dei pochi momenti
in cui non vediamo né Takao né Yukari.
Commento Bis (ok, finiti gli spoiler)
Mi sfugge come sia possibile riuscire ad essere interessanti raccontando il niente, eppure con Il giardino delle parole è successo. La formula magica di Shinkai continua ad evolversi e migliorarsi di film in film. Se Viaggio verso Agartha era un non del tutto riuscito tentativo di tirare fuori un film Studio Ghibli più cazzuto e che tuttavia riesce a farsi apprezzare, è Il giardino delle parole a risultare il film più adulto di Shinkai, anche più del tanto acclamato 5 cm al secondo. Lo è, perché chiede allo spettatore una sorta di patto: "Sei disposto a calarti completamente nelle mie atmosfere e riflessioni, abbandonando il concetto di film = storia da seguire per quello che succede, e abbracciando quello di film = emozione attraverso una o più sequenze di immagini?" Se lo spettatore lo rifiuta perché non è pronto o per scelta personale in quanto il suo concetto di cinema è ben altro (assolutamente accettabile e plausibile!), il suo giudizio finale non sarà che estremamente negativo. Personalmente, dopo aver visto più di un film dell'autore e dopo averlo "conosciuto" per il suo stile e il suo modo di porsi, posso dire di aver imparato ad accettarlo e, perché no, apprezzarlo almeno in parte. Il giardino delle parole non è originale, non è trascinante, forse non è nemmeno cinema, ma è una esperienza visiva da provare almeno una volta. Se poi il tedio prenderà il sopravvento, pazienza: sono solo 46 minuti, ci sono ben altri film che durano anche il triplo dopo i quali potreste aver pensato di aver buttato via il vostro prezioso tempo.
Giudizio finale:
Storia: 4 - dai, diciamolo chiaramente, la storia non esiste e non è nemmeno il punto focale. C'è uno spunto narrativo interessante che non viene sfruttato (neanche ci prova, il Makoto), perché il suo obiettivo è un altro. Che funzioni o meno, è conseguenza del modo di porsi di ciascuno di noi.
Regia: 9 - dal punto di vista qualitativo, prima di Your Name. questo film è stato il top assoluto di Shinkai, che registicamente parlando non sbaglia un colpo. Il film è da godere in silenzio, rapiti di fronte alla bellezza delle immagini.
Musiche: 5 - sia messo agli atti che il pianoforte di Tenmon ha rotto le palle. Bella la canzone finale, davvero evocativa ma... per pietà, non se ne può più. Basta. Uccidetelo. Tenmon, dico. Cosa? Mi state dicendo che le musiche sono composte da Daisuke Kashiwa e non da Tenmon? Scusate, non me ne ero accorto, non ho notato la differenza, allora è proprio Shinkai a volerci ammorbare con un sound da prurito alle dita... e ditelo, eh.
Ritmo: 4 - lento, lentissimamente lento. Non solo non succede nulla per tre quarti di film, ma quello che succede lo fa in modo lento. Ve l'ho detto? È lento. Cazzo se è lento.
Violenza: 4 - non c'è violenza e non ho intenzione di riciclare la battuta che ho scritto su 5 cm al secondo. Ops, l'ho appena fatto.
Humour: 5 - Non fa ridere né vuole farlo...
XXX: 1 - nulla da segnalare, un punticino in più per la scena delle scarpe, magari qualche feticista apprezza pure. [3]
Globale: 7 - resta sorprendente vedere come il film si porti a casa un bel 7 nonostante tutte le voci, tranne la regia, abbiano degli eclatanti voti insufficienti. Per questo motivo, diventa importante chiarirci: se per voi la trama è tutto o ricopre un ruolo di spicco, come tra l'altro è giusto che sia, potete anche dimezzare tranquillamente il voto. Se per una volta vi lasciate vincere dalla tentazione di provare qualcosa di più zen e meno concreto, probabilmente finirete con l'apprezzare Il giardino delle parole. Un conto è non raccontare nulla risultando noiosi e per di più senza veicolare uno straccio di emozione; un altro conto è tirare fuori qualcosa di unico e diverso, dove l'estetica vince sulla sostanza ma lo fa meravigliosamente bene. Magari non vi resterà nulla dopo la visione, ma se l'avete apprezzato di sicuro vi verrà nuovamente la voglia di rivederlo, ve lo garantisco.


2016 - Your Name. ("Kimi no na wa")

Locandina dell'edizione Nexo Digital per il cinema.

Livello di spoiler: GREVE [sono costretto a spoilerare, ci sarà un paragrafo all'uopo]

[sono costretto perché voglio io]

[vi ho avvisati, eh]

[la recensione può essere letta anche da chi non vuole spoiler, seguite le istruzioni]


Il film inizia così, più o meno.
Chissà se qualche volta avete mai provato quella strana sensazione che vi fa domandare: "Ma quella persona che ho appena incrociato... l'ho già conosciuta?" Magari credete di averne intravisto un sorriso, magari state pure sperando che quella stessa persona stia pensando lo stesso di voi. Sta a voi la scelta se continuare a camminare, rimanendo col dubbio, o farvi forza per rivolgerle la parola. E se quella persona fosse davvero quella che il destino ha riservato a voi? La vita è piena di sliding doors come questa, anche se noi non ce ne accorgiamo né mai verremo a saperlo.
Il filo rosso, uno dei tormentoni di Your Name.
Ed ecco finalmente Your Name. (mi raccomando il punto finale, è parte integrante del titolo). Vi sembrerà strano, ma prima di guardarlo, nonostante mi fossi già avventurato nella visione di tutti i titoli precedenti, non ho voluto sapere nulla, non ho letto trame, non ho sbirciato recensioni né ho visto anteprime, giusto il solo trailer. Il nulla assoluto, proprio per poterlo accogliere senza aspettative di sorta o pieno di preconcetti. Dal trailer è evidente l'incredibile livello di qualità visiva (ma ci avrei scommesso un rene) e un tocco di fantastico che non guasta mai, per il resto non avevo la più pallida idea di cosa avrei visto nei successivi 106 minuti: cosa aspettarmi dal più grande incasso anime della storia giapponese? Vi dirò, ero diviso tra il non vedere l'ora di gustarmelo (La Moglie sa quanto l'ho stressata) e il timore di restare deluso, certo di ritrovare gli ennesimi difetti riscontrati in tutti i film precedenti. Se avete già visto il voto finale avete già la risposta, se non lo avete ancora visto ve lo dico ora: Your Name. è davvero un gran bel film, me lo sono proprio goduto. Perfino La Moglie è rimasta soddisfatta, il che è tutto dire.
Il paesino rurale di Mitsuha
Trama (poco spoiler, si può tranquillamente leggere)
Taki Tachibana e Mitsuha Miyamizu sono due studenti coetanei, il primo vive a Tokyo, la seconda in un paesino di montagna. Entrambi vivono con un'insoddisfazione di fondo; la ragazza, timida ed impacciata di suo, sogna di poter essere un ragazzo di Tokyo perché odia la vita troppo ordinaria del suo paesello: non c'è una caffetteria (esiste solo un distributore automatico di caffè in lattina), non c'è una biblioteca e manca perfino uno studio dentistico. Lei, per di più, vive in un tempio shintoista insieme alla nonna e alla sorellina, senza una mamma e con un papà distante dalla famiglia, troppo impegnato nella sua carriera di sindaco del paese.
Il ristorante "Il giardino delle parole", easter egg
Taki, il ragazzo, è invece una testa calda, forse troppo impulsivo, con la passione per il disegno e che lavora part-time come cameriere in un ristorante italiano dal nome "Il giardino delle parole" (proprio scritto così, non è una traduzione). Una mattina, entrambi si svegliano scombussolati, con amici e parenti che li guardano sconvolti perché il giorno prima sembravano impazziti. Purtroppo non ricordano nulla, quando si sono risvegliati è come se avessero dimenticato tutto quello che è successo il giorno (o la notte prima). Quello che hanno vissuto è stato un sogno troppo vivido o qualcos'altro? Lo stesso fatto inizia a ripetersi con frequenza, anche due o tre volte alla settimana e, quando Mitsuha scopre sul suo quaderno la scritta "Chi sei?" inizia a comprendere la verità. In quei giorni così strani, lei vive nel corpo di Taki e, viceversa, lui nel suo, con le imbarazzanti conseguenze che comporta un improvviso cambio di personalità in un corpo diverso. Realizzato cosa sta succedendo veramente, i due decidono di darsi delle regole per evitare di combinare troppi pasticci: innanzitutto scrivono quello che hanno fatto durante la giornata, per mettere l’altro al corrente di quello che è successo; in secondo luogo, cercano di non interferire troppo con le rispettive quotidianità per evitare di fare danni irrimediabili. Certo è che ad entrambi la situazione giova, tanto per dire: la vita sociale di Taki migliora perché diventando meno impulsivo riesce a risultare interessante agli occhi della capocameriera Miki Okudera, bellissima ed irraggiungibile, per cui aveva una cotta; Taki (Mitsuha) riesce perfino ad ottenere un appuntamento con lei! Lo stesso avviene nel paesino dove Mitsuha (Taki) diventa sempre più popolare tra i compagni perché spigliata e "moderna", proprio lei che fino ad allora aveva vissuto divisa tra la voglia di fuggire e il senso del dovere che la tiene legata al tempio di sua nonna, sacerdotessa devota a Musubi, il dio protettore del paesino. La situazione va avanti per qualche tempo, ed entrambi iniziano, in modo del tutto assurdo ma sensato, a conoscersi meglio e a provare qualcosa che vada oltre la semplice amicizia. Ok, diciamolo: Taki si innamora di Mitsuha, anche se non sa nulla di lei, nemmeno il nome. La storia prende una bella piega quando arriva la notizia che una cometa è in arrivo nei prossimi giorni... e quando, poco dopo, Taki si rende conto che all'improvviso lo scambio di corpo con la ragazza si è interrotto, rendendo vano ogni tentativo di comunicare con lei. C'è solo una cosa da fare: muovere le chiappe da Tokyo e trovare il paesino di lei, ovunque esso si trovi... la sorpresa che troverà Taki sarà davvero sconvolgente.
Chi sei?
Commento (senza spoiler)
Commentare senza spoiler è impresa ardua, ma non impossibile. Qualche spoiler è necessario per spiegare alcune critiche che muovo al film, ovviamente a livello di sceneggiatura (ma dai?), lo rimando quindi al paragrafo successivo giusto per chi ha voglia di approfondire l'argomento. Per quanto mi riguarda, Your Name. è Makoto Shinkai all'ennesima potenza, è il punto più alto che ha raggiunto finora, è la summa di tutta la sua cinematografia e, a ben vedere, contiene la stragrande maggioranza dei suoi temi e dei suoi marchi di fabbrica, ma stavolta il regista è riuscito ad amalgamarli senza rovinare l'idea che aveva in mente. C'è il tema della comunicazione, della distanza di tempo e di luogo, c'è una sottintesa storia romantica che muove i protagonisti nella seconda metà, c'è il tono drammatico e malinconico, ci sono i treni, la pioggia e i ciliegi in fiore, c'è un richiamo a Haruki Murakami per la deriva fantastica della seconda parte, c'è la struttura circolare della chiusura della storia che si ricongiunge all'inizio... eppure, sapete cosa vi dico? È come se Shinkai si fosse divertito a giocare con chi conosce gli altri suoi film, perché Your Name. è tutto questo ma è anche un punto di rottura della sua concezione che ci ha spiattellato in faccia fino all'anno scorso. Lo è per due motivi: per la freschezza e il brio della narrazione, innanzitutto, e per una colonna sonora grandiosa che riprende proprio questo aspetto, amplificandolo grazie a delle orecchiabili canzoni pop. La malinconia cupa e agrodolce a cui ci siamo abituati viene accantonata e, credetemi, tutto il film ne giova enormemente. Le stesse voci dei personaggi non sono più un sussurro del depresso aspirante suicida, ma hanno una modulazione che riempie le orecchie, accentuata dalle parti in cui i doppiatori hanno dovuto rendere credibile il cambiamento di personalità dei protagonisti. Ah, i protagonisti: finalmente non sono più soli, ma hanno amici che partecipano alle loro vicende e in diverse occasioni si fanno in quattro per aiutarli. Non abbiamo più l'oscuro emo che vive solitario in autocommiserazione, ma personaggi più credibili per i quali finalmente anche l'amicizia ricopre un ruolo non secondario (sì, mi riferisco a Katsuhiko e Suzuka, gli amici di Mitsuha, e di Miki Okudera e Tsukasa Fujii per Taki). Un cast più allargato permette una maggiore coralità di scene, dialoghi, situazioni: se non è un enorme balzo in avanti questo, non saprei cos'altro avrebbe potuto fare Shinkai!
Il lago del paese Itomori
Per il resto Your Name., come le immagini promozionali e locandine lasciano supporre, è un film che fa molta leva sugli accostamenti degli opposti: modernità contro tradizione, vista ovviamente nella contrapposizione tra la sfavillante Tokyo e la rurale Itomori (tema già visto in 5 cm al secondo); l'ovvio scontro-incontro maschio / femmina dei due protagonisti, grazie al quale migliorano le rispettive vite facendo conoscere un punto di vista diverso; non possiamo trascurare la dicotomia futuro / passato, che per non spoilerare non spiegherò, ma che risulterà lampante nonché sorprendente per come è stata affrontata; per chiudere con l'alternanza di leggerezza e malinconia, perfettamente rappresentate dalla suddivisione in due archi narrativi ben distinti; quello iniziale, tanto divertente e brioso in cui impariamo a conoscere i protagonisti; quello finale, che perde l'innocenza e la freschezza della prima parte per guadagnare in tensione e drammaticità. Dovreste averlo capito, ciascuno di questi elementi, che potrei banalmente ricondurre allo yin e allo yang, ha un suo peso ben studiato senza che uno sovrasti l'altro. Tutte queste mirabolanti nonché sperticate lodi nei confronti di Shinkai destano però qualche sospetto: com'è possibile che una persona del suo stampo, così poco disposto a scendere a compromessi, sia rinsavita così tanto dal migliorare in un solo film? Non è che c'è per caso la mano di qualcuno che l'ha guidato? Io dico di sì, e ci speravo davvero tanto, perché se il risultato è stato questo film, cazzo, dico che costui ha fatto un signor lavoro. Gli indizi portano al nome di Genki Kawamura, la cui supervisione ha permesso un controllo dell'intera produzione durante il processo creativo, forse anche più di quanto lo stesso Shinkai ha ammesso in una bella intervista su Animeclick che consiglio di andare a leggere. Sto parlando di uno dei produttori di The Boy and the Beast (2015, Mamoru Hosoda), un film di cui sentirete parlare anche in questi lidi perché fra i migliori di quell'annata. Grazie Signor Kawamura, ti devo un enorme favore.
Soliti strepitosi giochi di luce.
Purtroppo Your Name. non ha preso 10 - voto che avrei dato se avesse raggiunto la perfezione, cosa che non è stata. Dove ha toppato? Rimandando alcuni approfondimenti al paragrafo successivo, altamente spoilerante, in questa sede posso semplicemente parlare di scarsa innovazione dello spunto iniziale, di una sceneggiatura zoppa in un paio di snodi cruciali dei quali posso dire che Shinkai abbia effettuato una grave forzatura nei confronti dello spettatore (sì, ha giocato sporco), e del suo smodato nonché ridondante uso di simbolismi senza i quali non si può ritenere soddisfatto.
Body swap: hai voglia a chiamarlo cliché, l'espediente narrativo dello scambio di personalità risale ad un romanzo F. Anstey del 1882, Vice Versa, e da allora in tv, sui libri e nei film ne abbiamo visto a iosa, manga inclusi, per farvi un'idea date un'occhiata a questo elenco (link esterno). Confesso di aver avuto, nei primi minuti, il timore di assistere alla sua ennesima variante, ma ammetto che per fortuna il colpo di scena che avviene più o meno a metà narrazione spariglia le carte e rende la storia molto più interessante. Shinkai non ha inventato nulla - non si può dire che l'originalità sia il suo punto forte - ma ha mescolato elementi noti e abusati tirando fuori una storia meno banale di quanto le premesse lasciassero presupporre. Peccato che nella preparazione del colpo di scena più grosso si sia scelto di barare; lo spettatore non se ne rende veramente conto durante la visione in quanto rapito dalla storia e dai disegni, ma a mente fredda, nel ripensarci, è impossibile non notare alcune evidenti incongruenze che inevitabilmente faranno storcere il naso. Infine, parliamo dei simboli: premesso che io preferisco il "non detto" allo spiattellamento, in tutti i suoi lavori Shinkai dissemina indizi grossi come baobab tanto da risultare goffo e pedestre, anche Your Name. non è esente da questo difetto. Parliamo del filo rosso? Lo vediamo fin dall'inizio, nei titoli di testa accompagnati da una bella canzone, che trasforma quella sequenza in una pseudo-sigla simile a quelle delle serie televisive; il filo rosso diventa quello che lega Taki e Mitsuha, è lo stesso che annoda i capelli a coda di cavallo della ragazza (è l'espediente narrativo che ci fa capire quando c'è lei nel suo corpo e non il ragazzo), è lo stesso che in una sequenza diventa un cordone ombelicale ed è, soprattutto, quello che viene evocato dalla nonna quando fa il discorso su(l) Musubi.
Musubi e l'intreccio
Avendo imparato a conoscere Shinkai, ho subito avvertito che quella scena sarebbe stata la chiave di lettura dell'intero film. Musubi è il dio protettore del paesino di Mitsuha, ma è anche un concetto più astratto che indica il legame che può esistere tra due persone (si ritorna alle immagini iniziali), così come lo scorrere del tempo rappresentato dai fili intrecciati che diventano corda. Musubi di qua e Musubi di là, capisci che questo è il concetto più importante del film ed è la sua chiave di lettura nonché il principale motore degli avvenimenti; non è la cometa a combinare disastri, ma è Musubi. Afferrato questo concetto, che ammanta di misticismo (andiamo proprio oltre la fantascienza), l'autore forza gli eventi e li riconduce con, a mio parere, eccessiva facilità al sovrannaturale. Continuando con lo smodato uso di simbolismi, ha infarcito di scene ed intermezzi con porte che si aprono o si chiudono: treni, metropolitana, porte di casa, i fusuma (porte scorrevoli decorate), tutto scorre e tutto rimanda a Sliding Doors, non tanto il film (o non solo) quanto al concetto di biforcazione o bivio del destino. Shinkai adora essere pesante e ripetitivo nelle sue metafore, diciamolo chiaramente. Prima di passare alle vere e proprie bordate spoileranti su quelli che secondo me sono i difetti di Your Name., tengo a precisare che le magagne che ho appena elencato sono un voler andare a cercare il pelo nell'uovo, perché sono davvero marginali e di poco conto, ma non posso fare a meno di notarle in un film che, se non ne avesse abusato, avrebbe raggiunto un equilibrio davvero mirabile.
Commento - approfondimento (con spoiler!)
Lo ribadisco, qui si spoilera a manetta, quindi se non volete rovinarvi la sorpresa andate dritti al paragrafo successivo!
Mitsuha
Come scrivevo poche righe prima, Your Name. ha due grossi difetti che hanno fatto sì che io abbassassi la sua valutazione finale, nonostante nella sua globalità sia uno dei film che più ho apprezzato negli ultimi tempi e che consiglierei a chiunque abbia un minimo di interesse nell'animazione giapponese. Per capire di cosa sto parlando, un cenno sul colpo di scena che dà la svolta principale all'intero film. Quando Taki capisce che lo scambio di corpo non è più avvenuto e che quindi deve essere successo qualcosa, in preda alla sua ossessione decide di andare a cercare Mitsuha, avendo come unico indizio il disegno di un ricordo, il lago di Itomori. Taki, accompagnato da Miki e Tsukasa, arriva sul posto e, non senza fatica, scopre la terribile verità: il paese di Mitsuha non esiste più, tre anni prima, durante il passaggio della cometa Tiamat, un asteroide se ne è distaccato e ha colpito proprio Itomori, causandone la distruzione e la morte di gran parte degli abitanti. Con orrore di Taki, Mitsuha figura tra le vittime accertate. Qui il ragazzo realizza che lo scambio di personalità non comportava solo un balzo di luogo, ma anche di tempo, fino a tre anni prima! Cosa fare per porre rimedio? La risposta si trova nelle parole della nonna di Mitsuha, più precisamente in Musubi, la divinità protettrice del paese e il cui tempio è una sorta di punto di congiunzione delle varie linee temporali. Bevendo del kuchikamizake, un sakè speciale ottenuto mediante un rito a cui la stessa ragazza aveva partecipato, Taki riesce a varcare le linee del tempo e dello spazio per ricongiungersi, anche se solo brevemente, a Mitsuha, in modo da avvisarla del pericolo incombente. Il risveglio diventa per la ragazza una disperata corsa contro il tempo per convincere l'intero villaggio a salvarsi dalla catastrofe.
Treni pure qui...
Da queste righe, per come ve l'ho messa, possono risultarvi evidenti i due grossi problemi di sceneggiatura: il primo non è un errore, ma un atto scientemente voluto da Shinkai, ovvero la non reazione di Taki (ragazzo del futuro) di fronte alla notizia dell'arrivo della cometa; è impossibile che non possa ricordarsi di un evento così catastrofico avvenuto tre anni prima; è impossibile che non si sia mai accorto, durante lo scambio di corpi, che il tempo in cui viveva era diverso da quello attuale, soprattutto quando ha assistito alla tv la notizia dell'arrivo della cometa. Provando a rigirare la frittata in vista dell'obiezione "Non la ricordava perché al risveglio i ragazzi si dimenticano tutto, e può valere anche il viceversa", posso rispondere dicendo: ok, hai dettato questa regola, ma poi comunque non l'hai rispettata perché in realtà più volte entrambi i ragazzi hanno dimostrato reminiscenze dello scambio... ma stranamente e casualmente, mai è avvenuto con l'evento più grosso. No, questo è ingannare lo spettatore, giocando sporco. Non esiste che fai ricordare cose ed eventi a Taki e Mitsuha solo quando ti fa comodo e poi, solo per muovere la storia, tutto diventa come se fosse solo il caso o la coincidenza ad intervenire, vanificando quanto di buono è stato scritto fino a quel momento. Mi rendo conto di quanto sia difficile lavorare con i paradossi del tempo ma, proprio per questo, chiedo una maggiore attenzione nel cercare di non incappare in errori simili. Il secondo grosso problema è diretta conseguenza di quanto detto prima e, in questo caso, lo vedo più come un errore concettuale. Come cazzo è possibile l'esistenza dell'io narrante (Taki) quando più volte hai dimostrato che non può ricordarsi certe cose e che, anzi, la dimenticanza e l'oblio diventano il punto focale della parte centrale della storia? L'io narrante qui è proprio sbagliato a livello di concetto, ma Shinkai ce l'ha piazzato perché fa figo ed è un suo tratto distintivo e piuttosto che non metterlo si farebbe amputare entrambe le mani, non riesco a trovare una spiegazione più convincente. Peccato, davvero peccato!
A questo punto mi riservo di riguardare il film quando uscirà in home video con l'adattamento italiano perché sono curioso di sapere quanto queste mie obiezioni siano valide o se sono stato io a non aver capito una cippa della storia - in tal caso farò pubblica ammenda su questa stessa sede. Se poi voi avete voglia di darmi una vostra spiegazione, la sezione "commenti" è li che vi aspetta!
L'arrivo della cometa (scena iniziale, no spoiler)
Commento conclusivo (spoiler finiti, tranquilli)
Cos'altro dire di Your Name.? Una sola cosa, che è la più importante di tutte ed è il mio vero metro di giudizio: ho una voglia matta di riguardarmelo, non c'è complimento migliore che possa fare ad un film che ho appena finito di guardare. Potrei anche dire una cosa strana: di Shinkai è sufficiente vedere solo questa produzione perché è il riassunto totale globale delle sue tematiche; se poi avete voglia di divertirvi a scoprire come in realtà il regista si sia divertito (o l'abbiano obbligato, il sospetto non mi abbandonerà mai) a de-costruire i suoi marchi di fabbrica ottenendo un lungometraggio che va in antitesi rispetto alla sua visione finendo col superarli tutti, allora non vi resta che riscoprire anche le sue produzioni precedenti. Per quanto mi riguarda, posso dire che il suo percorso di crescita l'ha compiuto tutto e che non credo riesca a superarsi nuovamente... ma sono pronto ad essere sonoramente smentito, anzi non vedo l'ora. Your Name. è senza dubbio uno dei film del 2016 da ricordare nel tempo, insieme a Silent Voice.
Nota di colore:
Come è noto, Shinkai è famoso per la fedeltà nella ricostruzione di fondali e scenografia, perfettamente aderenti ai corrispettivi originali. Se andate su questo sito, potete trovare foto di posti reali, le coordinate per raggiungerli e le immagini della controparte presente in Your Name.. Tutto ciò è fantastico! Landmarks Used in the Movie “Kimi no Na Wa.” - Fast Japan.
Giudizio finale:
Storia: 7 - finalmente, cribbio. Non solo il soggetto iniziale è interessante, nonostante il body swap sia un cliché usato e stra-abusato in molti manga e anime (per non parlare della filmografia occidentale anni '80), ma la sceneggiatura questa volta non si perde per strada e nonostante alcuni buchi / errori / prese in giro (chiamateli come volete) colossali, porta il lavoro a casa.
Regia: 9 - Il top, fino ad ora, raggiunto da Shinkai. Your Name. è veramente il punto più alto raggiunto dal regista. Il passo successivo è migliorare nelle animazioni dei personaggi, non ancora ai livelli dello Studio Ghibli, ma per il resto... Shinkai c'è!
Musiche: 8 - qui il secondo vero cambio di registro; quello del tono (non solo drammatico ed opprimente, ma anche frizzante almeno nella prima parte) si riflette sull'atmosfera musicale. Basta pianoforte strimpellato - non se ne poteva più - ma ecco una vera soundtrack fatta come si deve, con pezzi pop (uno quasi rock) e delle canzoni godibili e che ben si adattano alla storia. Il merito è dei Radwimps, banda rock giapponese a cui il regista ha chiesto di comporre ed eseguire le tracce principali.
Ritmo: 7 - brioso, frizzante, rallenta nella seconda parte, ma l'attenzione resta viva per scoprire come potrebbe andare a finire. Mai noioso, detto a Shinkai è davvero un complimento enorme. Per me c'è lo zampino di qualcun altro, mi sono spiegato più in dettaglio nel corpo della recensione.
Violenza: 5 - poco da segnalare.
Humour: 6 - incredibile, c'è pure qualche scena che strappa più di una risata! Makoto, sei proprio tu?
XXX: 1 - nulla da segnalare, un punticino in più per la gag umoristica che si ripete in più scene. (è ovvia, non vi dico cosa però)
Globale: 8,5 - Potevo dargli nove, a ben pensarci, ma per diversi motivi lo ritengo un voto eccessivo (come lo era per Silent Voice, ma lì l'immedesimazione è stata tale per cui me ne sono sbattuto la ciolla e gliel'ho dato lo stesso). Sicuramente Your Name. è un film riuscito, con un bel ritmo e una storia gradevole ed interessante, intenso ma non pesante, romantico il giusto ma senza essere sdolcinato, con diversi picchi memorabili per resa visiva ed emotiva. Non trovo un motivo valido per cui non dovreste vederlo, può piacere tantissimo o poco, ma è uno dei film più significativi degli ultimi anni. Non è un film impegnato o con messaggi sociali ben definiti, è evasione allo stato puro ma, porco cazzo, è fatto dannatamente bene.


2019 - Weathering with you ("Tenki no ko")

Locandina dell'edizione Nexo Digital per il cinema.

Livello di spoiler: A CATINELLE

[la recensione può essere letta anche da chi non vuole spoiler, seguite le istruzioni]

Iniziamo con la carrellata di immagini di impatto...

Pioggia.
Pioggia sempre, ovunque, intensa, che non lascia respiro, che opprime tutto.
Maremma maiala impestata quanto odio la pioggia, ci sono momenti in cui mi sembra di impazzire, soprattutto quando succede per una settimana di fila. Il clima è cambiato, è inutile negarlo, non c’è più il singolo acquazzone primaverile che rinfresca tutto… no, se deve piovere ci dobbiamo sorbire una scassata di maroni ininterrotta per più giorni consecutivi. Immaginatevi ora una Tokyo moderna in cui, senza un motivo apparente, inizia a piovere e non smette più, per settimane intere. Una roba che se fosse comparso Brandon Lee a rantolare: “Non può piovere per sempre”, il protagonista esasperato l’avrebbe preso a smascellate in faccia con il cricket di un autoarticolato.
Pioggia...
Weathering with you - La ragazza del tempo
 parte esattamente con questa premessa e, devo ammetterlo, lo spunto è alquanto intrigante. Il protagonista è Hodaka Morishima, un sedicenne che, per motivi non propriamente spiegati, nell’estate del 2021 decide di fuggire dalla famiglia e dall’isola in cui vive, per tentare l’avventura in una Tokyo sfavillante e per nulla accomodante nei confronti di un fuggiasco minorenne. Ah, povero ingenuo, ancora non sa in quali pasticci andrà a cacciarsi! Problema della pioggia a parte, l’arte dell’arrangiarsi nella grande metropoli non sarà facile per nulla; per sopravvivere, accetta la proposta di Keisuke Suga, un personaggio un po’ strambo che gli ha salvato la vita durante la traversata sul traghetto e che gli offre un lavoro presso la sua agenzia editoriale, oltre a vitto e alloggio, in cambio di una paga ridicolmente bassa. Può forse Hodaka rifiutare? Insieme a Keisuke vive Natsumi, una ragazza appassionata di esoterismo e stramberie varie. Proprio in seguito ad un nuovo incarico assegnato da Keisuke, Hodaka e Natsumi iniziano una ricerca sulle cosiddette “ragazze del tempo”, figure avvolte dal mistero che, secondo antiche leggende locali, sarebbero in grado di fermare la pioggia e regalare, solo per un lasso di tempo limitato, un spicchio di sole e serenità a chi ne fa richiesta. Durante la ricerca, Hodaka incontra Hina Amano e scopre che è proprio una ragazza del tempo in grado di fermare la pioggia: diventeranno amici, inizieranno un business per regalare sole e felicità in cambio di un modico prezzo e presto la loro vita svolterà, tanto da “poter addirittura cambiare il mondo”, come dice l’io narrante. E quando scopriranno che sarà necessario un sacrificio umano per fermare la devastazione che sta colpendo Tokyo, si renderanno conto di trovarsi di fronte a scelte molto più grandi di loro, che sono solo due semplici ragazzini delle superiori.
Effetto di Hina, la ragazza del tempo...
Lo so, raccontata così la storia sembra molto avvincente ed interessante, ma siamo alle solite. Makoto Shinkai prende un ottimo spunto di partenza e cerca di costruirci su un lungometraggio infarcendolo di tutti i temi ed elementi ai quali ci ha abituati con i lavori precedenti. Il Nostro arriva dal successo planetario di Your Name., diventato l’anime più visto nella storia del cinema, e l’eredità fatta di titaniche aspettative stava proiettando un’ombra enorme su qualunque cosa avrebbe estratto dal cilindro. Non è facile ripetersi dopo un tale successo, in casi del genere le strade sono due: squadra che vince non si cambia, per sperare di bissare la formula; oppure tentare una strada completamente diversa, ribaltare tutto quello che si è costruito fino a quel momento, prendendosi anche una bella dose di rischio, e percorrere sentieri ancora inesplorati.
Beh, nonostante nelle interviste abbia dichiarato il contrario, Shinkai ha palesemente scelto la prima strada, quella più facile, cercando però di inserire ogni tanto delle svolte improvvise e diverse, la più importante nel finale (ci arriveremo nell’apposito, spoilerante paragrafo). A mio avviso, il risultato non è stato del tutto convincente. L’espressione che più mi viene in mente per descrivere Weathering with you è: Comfort Zone, quella in cui Shinkai si è adagiato e dalla quale non si è più mosso.

Volemose bene!

Prendiamo la prima parte della storia: tutti i suoi marchi di fabbrica sono stati inseriti di forza e ce li ritroviamo spiattellati uno di fila all’altro. 
Lui e lei, in una relazione sentimentale che supera lo spazio e il tempo? C’è.
Il tema del confronto tra antico e moderno, villaggio e metropoli? C’è. Sottile, ma c’è.
Il misticismo come filo conduttore e deus ex machina? C’è.
Piani paralleli, realtà e fantasia, uniti da un sottile filo? C’è. Anche se questa volta la bilancia pende di più sul piano reale.
Haruki Murakami? C’è, il film trasuda Murakami da ogni fotogramma… e c’è anche una piacevole sorpresa, ne parliamo più avanti.
Gatti? C’è. Uno, ribattezzato Rain, raccattato per strada in un giorno di pioggia e, no, non c’entrano Andrea e Luciano.
Tema del viaggio? C’è.
Treni? Hai voglia, Tokyo ne è piena, vuoi forse perdere l’occasione di sfoggiare la Yamanote dal momento che le scene toccano Shinjuku, Shibuya, Ikebukuro ed altri quartieri famosi della capitale?
Uccelli? Uhm… forse no, potrebbe essere l’unica eccezione, ma chissà che non me ne sia sfuggito qualcuno.
L’io narrante con voce lamentosa e colma di tristi presagi? Purtroppo sì, è presente.
E… e... la pioggia? Sì, tanto che, rispetto alle altre opere, qui diventa il punto focale dell’intera narrazione, non solo nei primi quindici minuti ma per tutte le quasi due ore del film.
Quando parlo di comfort zone, mi riferisco a questo mischione di tematiche, alcune delle quali appena accennate ma sempre presenti, che connotano il film come fortemente shinkaiano. Termine orrendo, ma è anche giusto dare a Makoto quello che è di Makoto: l’avevo già scritto nella monografia principale, da tempo il regista è riuscito a trovare una propria dimensione, smarcandosi dal pesante confronto con Miyazaki, tanto che ora il suo marchio di fabbrica è riconoscibile ed evidente, al di là dello splendido impianto audio-visivo, uno dei migliori mai visti finora, forse giusto un mezzo gradino più sotto rispetto a Your Name. a causa di una preponderanza della CGI, che in alcune scene è fin troppo evidente e poco nascosta come invece era avvenuto mirabilmente del film precedente.
Il gatto Ame (pioggia in giapponese)
Da queste parole è facile intuire quali siano gli aspetti positivi di questo film e, soprattutto, quali quelli negativi. Ecco, il problema è proprio questo: mi sono avvicinato a Weathering with you senza conoscere alcunché, non mi sono visto nemmeno il trailer. Volutamente non ho voluto sapere nulla di nulla, mi sono messo a guardarlo con la mente libera da preconcetti ma… ecco, in realtà sapevo già tutto: cosa aspettarmi, cosa incontrare, cosa mi avrebbe emozionato, cosa mi avrebbe fatto storcere il naso e come si sarebbe arrivati alla conclusione della storia. Intendiamoci: non perché io sia un genio, tutt’altro; chi, come me, si è sparato tutta la filmografia di Makoto, dopo Your Name. è perfettamente in grado di capire come andrà a finire. Ecco il problema della comfort zone; probabilmente il regista ci si è affidato troppo, andando ad inficiare in modo negativo il giudizio finale. Ovviamente il voto, che avrete già visto, comprende anche molti aspetti positivi che controbilanciano un po’ quelli che mi hanno deluso.

Non è un artwork, ma un fotogramma tratto dal film...

Andiamo nel dettaglio, partendo dai pro.
Non c’è storia, visivamente Weathering with you è splendido. Io adoro il fotorealismo con cui Shinkai progetta e disegna i fondali e le ambientazioni. Di film in film, grazie al budget che ha a disposizione, la qualità aumenta costantemente. Tavole superbe, splendidi giochi di luci e ombre, costruzione delle scene mirabile, colori sgargianti che bucano lo schermo quando rompono la monotonia delle grigie giornate di pioggia; dettagli su dettagli, ciascuno riprodotto con maniacale perfezione e ricchezza (con anche un, forse, eccessivo product placement), riflessi ovunque e tanto altro ancora. Ogni elemento si fonde con gli altri contribuendo a creare una fortissima atmosfera in grado di catturare l’attenzione dello spettatore. Davvero, da questo punto di vista Shinkai si è superato. Purtroppo i personaggi, come in Your Name., non raggiungono ancora il livello di animazione dello Studio Ghibli, anzi in più di un punto ho trovato dei peggioramenti rispetto al passato, con movimenti troppo legnosi o artefatti. È solo una nota stonata, niente che possa rovinare la goduria visiva a cui ci troviamo di fronte. Anche il comparto sonoro è grandioso: i Radwimps, dopo Your Name., sono stati nuovamente chiamati a firmare una piacevole e frizzante colonna sonora j-pop-rock. Come anticipato nei paragrafi iniziali, l’ambientazione ha un tocco di originalità che ho apprezzato; l’idea di una pioggia torrenziale opprimente che funesta la sola Tokyo permette a Shinkai di esagerare con i suoi giochi di luce, oltre a creare un'atmosfera a tratti struggente e malinconica (ma mai ai livelli di 5 cm al secondo). Ultima nota positiva: seguendo il tracciato dell’opera precedente, anche qui abbiamo finalmente dei comprimari degni di nota, ben caratterizzati e creati con furbizia per piacere a tutti i costi. Era ora che si uscisse dal binomio del duo protagonista: sai che palle due ore solo con loro, la noia non può che fare capolino!

Tokyo dall'alto

Ma come in tutti i film di Shinkai, di aspetti negativi purtroppo ce ne sono. Mai una volta che provi a superare se stesso per creare un’opera non vuota, quello no, ma almeno non superficiale. È questo il grosso difetto che muovo a Shinkai, e più ancora in Weathering with you, proprio perché tutti abbiamo invano aspettato la Grande Svolta.
No, i punti deboli di Shinkai ci sono ancora tutti, tanto da diventare essi stessi un inconfondibile marchio di fabbrica: sceneggiatura che parte con uno spunto interessantissimo ma che non si sviluppa decentemente per coprire due ore di storia; certi passaggi di trama sono anche fin troppo affrettati, privi del dovuto approfondimento. Lo stesso destino accomuna un po’ tutti i personaggi, soprattutto quello di Hina. I protagonisti di Shinkai sono dei cliché, arrivano quasi alla fine della storia esattamente così come l’hanno iniziata. Non crescono, non si sviluppano adeguatamente ma… ecco, vivacchiano nel ruolo che il regista ha assegnato loro. Di Hodaka non sappiamo nulla, solo che è scappato dall’isola in cui viveva. All’inizio lo vediamo con diversi cerotti su naso e guance, una possibile ipotesi può essere che il ragazzo sia scappato da una situazione familiare non facile fatta di soprusi e violenze: ma non lo sapremo mai. Vogliamo parlare di Hina? Senza entrare nei dettagli, la sua monodimensionalità non cambierà durante la narrazione, anzi, alla fine non sarà che un semplice strumento narrativo, senza il necessario approfondimento che un personaggio chiave come il suo dovrebbe richiedere. Cosa la spinge ad accettare il proprio destino? Quali sono i pensieri, le paure, il background che la portano a decidere in un certo modo invece che in un altro? Tutto appena abbozzato, come se fosse un personaggio non protagonista. Peccato. La stessa storia è sconclusionata, ha momenti di stanca e, proprio quando potrebbe decollare veramente, si avvoltola su se stessa perdendosi in banalità trite e ritrite. In altre parole: proprio quando è arrivato il momento di osare, Shinkai si fa prendere dalla cacarella, ritira la manina e rimette tutto sui consueti binari… la sua stramaledettissima comfort zone, sempre lei, mannaggia la miseria ladra.
Ma sapete una cosa? Nonostante tutto, vi devo confessare che… il film funziona. Emoziona. Gioca con sentimenti di facile presa, non si perde in inutili spiegoni (finalmente!) e si lascia guardare senza troppi problemi fino al finale, croce e delizia del film.

Tokyo ha un attimo di respiro... che meraviglia!

Paragrafo SPOILER! SPOILER A CATINELLE! PIOGGIA DI SPOILER!
Vi ho avvisati.

Fino a metà film la storia è bellissima, poche ciance. Poi arriva qualche momento di stanca, ma niente di così tragico, è come se il regista volesse prendere il fiato per la volata finale. A tre quarti si palpita, dai che si decolla, dai che la storia arriva alla Grande Svolta, ma… puff. Tutto visto e stra-visto. Hina è la prescelta per il sacrificio, lei lo sa benissimo, così come sa che soltanto sparendo e diventando acqua, potrà salvare Tokyo dalla catastrofe. E così fa, lasciando Hodaka e il fratellino soli in una città dove i raggi solari fanno finalmente capolino tra i grattacieli, regalando agli abitanti la speranza della rinascita. La disperazione del ragazzo è palpabile, è ovvio e scontato che lui non accetti l’epilogo, così inizia la personale sfida per raggiungere la dimensione dove è salita Hina, per riprenderla e riportarla indietro. Bellissimo l’inseguimento in mezzo ad una Tokyo allagata, ma il momento clou del ricongiungimento con Hina è… deboluccio. Perché banale e scontato, sai già che andrà a finire così, che la salverà e la riporterà indietro. Il secondo finale della storia, dopo un salto temporale di tre anni - espediente narrativo che piace molto ai nostri amici orientali, soprattutto nei drama coreani, chi li conosce capirà benissimo cosa intendo - presenta un guizzo apprezzabile rispetto a quanto visto poco prima. Hodaka finalmente si diploma, ritorna a Tokyo dove spera di trovare Hina pronta ad aspettarlo… e così sarà. L’incontro tra i due è reale, il loro abbraccio pure e noi spettatori non dobbiamo immaginarci nulla. Avviene sotto il cielo plumbeo di una Tokyo nuovamente, perennemente annegata nella pioggia. Hina si era sacrificata per salvare il mondo, ma l’amore e - attenzione! - l’egoismo di Hodaka l’ha riportata tra noi, condannando l’intera città a ritornare alle piogge incessanti. La leggenda è chiara: solo il sacrificio della ragazza del tempo fermerà le acque. Hodaka e Hina si sono guardati negli occhi e si son detti: fanculo la pioggia, tenetevela, noi vogliamo vivere senza sottostare alle vostre stupide leggi e superstizioni.
Dai, ditelo che ha citato Mila e Shiro...
Io il messaggio l’ho apprezzato e, per certi versi, l’ho trovato anche un pizzico originale. È il riscatto contro il precostituito, uno schiaffo a ciò che gli altri vogliono da noi, è la ribellione dell’adolescente in un momento critico della propria vita: perché buttarla via, perché per una volta non si può provare ad essere egoisti e pensare a sé stessi? Il concetto è stridente se pensiamo alla mentalità nipponica dove la società e il collettivo comandano, a volte in modo opprimente, sul singolo individuo. Che sia un messaggio tipico della narrativa di formazione non è un mistero, anzi Shinkai ci manda un indizio grande come una casa fin da una delle prime scene: durante il primo viaggio verso Tokyo, il ribelle Hodaka sta leggendo “Il giovane Holden” (“The Catcher in the Rye”), iconico romanzo di formazione adolescenziale scritto da J.D. Salinger nel 1951. Con triplo avvitamento carpiato, l’accostamento con Haruki Murakami è servito ancora una volta: il famoso scrittore è stato il traduttore dall’inglese al giapponese proprio di Salinger, contribuendo alla sua diffusione anche nel paese del Sol Levante. Ma l’accostamento con il grande scrittore non può, ovviamente, finire qui. Ci sono alcuni chiari rimandi a “Kafka sulla spiaggia” (2002, 2008 in Italia): entrambi i protagonisti sono adolescenti in fuga, incontrano personaggi strani e misteriosi, e assistono a piogge di pesci che cadono dal cielo, in un mondo dove il confine tra la dimensione reale e quella fantastica è infinitamente sottile.
Prima di saltare alle conclusioni, ci sono ancora un paio di considerazioni che meritano un ulteriore warning per spoiler, perché c’è un accenno anche del finale di Your Name.. Mi rendo conto che mezza recensione oscurata per spoiler possa risultare monca, ma non rovinare il finale a chi non vuole è una forma di rispetto a cui tengo particolarmente.

Cliccate per vedere cosa sta leggendo Hodaka...

Ancora SPOILER! Non solo su Weathering with you, ma anche su Your Name.! Vi ho avvisatiiiiihhh! E dueeeeeehhh!

A Shinkai piace giocare con i rimandi alle opere precedenti, a volte prendendo bonariamente in giro gli spettatori, con easter egg fini a se stessi. È il caso di questo film, in cui i due protagonisti di Your Name. fanno la loro fugace comparsa; Mitsuha è la commessa di una gioielleria che aiuta Hodaka a scegliere l’anello, il regalo di compleanno che il ragazzo intende fare a Hina. Taki compare invece nella scena in cui sua nonna chiama Hina e Hodaka durante il loro business della “ragazza del tempo” per far smettere di piovere. In questa linea temporale Taki e Mitsuha non si sono ancora incontrati sulle scale nella scena clou di Your Name. (lo sappiamo dal manga e dal romanzo); entrambi i film sono ambientati nel 2021, quindi nel pieno di una Tokyo allagata dal temporale perenne, eppure, quando finalmente Taki chiede a Mitsuha qual è il suo nome… c’è una splendida giornata di sole. Ovviamente i fan si sono scatenati in congetture su una ipotetica trilogia shinkaiana dove il terzo film annoderà i fili di entrambe le storie in un qualcosa di strepitoso ed eclatante. Ricordatevelo, sono nato per essere smentito, ma sono certo che non succederà niente di tutto questo. L’unica teoria che posso accettare a denti stretti è quella del multiverso, dove tra gli infiniti universi che si generano ad ogni decisione e snodo cruciale, ce n’è uno in cui Taki e Mitsuha si metteranno insieme non tra i raggi di un sole primaverile e sotto i ciliegi in fiore, ma in un pantano degno dello stagno de La Banda dei Ranocchi. Per la cronaca, anche Tessie e Sayaka, i due amici comprimari di Your Name., hanno un cameo in Weathering with you, precisamente nella scena in cui Hina rischiara il cielo per la prima volta dopo essersi messa in società con Hodaka e possiamo vedere le reazioni stupite di alcuni presenti. In realtà è puro e semplice fan service, niente di più, niente di meno, per quanto io trovi sempre affascinanti le speculazioni sui destini incrociati di personaggi appartenenti ad opere diverse, ma inseriti in universi narrativi simili (o paralleli).

Mitsuha

Taki

Sayaka e Tessie (sgamati!)

Squarci di cielo oltre le nubi! [fine spoiler]

Considerazioni sull’edizione italiana
Il film è stato proiettato al cinema nella consueta formula dei tre giorni da Nexo Digital, il 14, 15 e 16 ottobre 2019. Il riscontro è stato buono, tanto che le proiezioni hanno goduto di due giorni bonus il 5 e 6 novembre. L’edizione italiana è curata da Dynit, nota per garantire ottimi adattamenti e doppiaggi (niente Kazé e soprattutto niente stupri dell’italiano e oscenità cannarsiane alla Lucky Red, per fortuna). 

Questa scena va vista in movimento...

Conclusioni
Alla domanda: “Consiglieresti di guardare Weathering with you?”, rispondo affermativamente, senza dubbio. Il film non raggiunge purtroppo i livelli del predecessore, finendo schiacciato dal confronto. Shinkai ha avuto paura, non ha osato, e ha tirato fuori un film gradevole, visivamente sbalorditivo, che non eccelle però nella svolgimento narrativo, finendo per appiattire sia i personaggi, sia lo svolgimento della trama. Probabilmente il problema sono anche io, che carico di aspettative “adulte” un prodotto che non vuole averle. È molto probabile che il target principale non sia la mia generazione, ma quella successiva (o anche due), un adolescente o un ventenne potrebbero apprezzarlo molto di più di quanto non lo abbia fatto io. In ogni caso la delusione affiora, ma lascia presto il posto alla dolce sensazione di aver comunque visto un bel film. Promosso, indubbiamente, ma per me resta un mezzo passo indietro nella carriera del regista, a cui auguro di spiccare il volo. Shinkai ce la può fare, i mezzi li ha, deve solo trovare uno stramaledettissimo sceneggiatore con i controcoglioni che gli metta nelle mani una storia che farà esplodere il mondo dell’animazione giapponese. Io ci spero ancora, ed è la stessa speranza, ahimé sempre più flebile, che ho nei confronti del Maestro Michael Bay: quanto vorrei una sceneggiatura solidissima da far detonare con infinite palle di fuoco reali senza CGI? Lo so già, è inutile che me lo diciate, sono solo sogni mostruosamente proibiti.
Giudizio finale:
Storia: 6,5 - Mezzo passo indietro rispetto a Your Name.. Solito spunto iniziale davvero interessante, per il resto la storia regala pochi sussulti e procede col pilota automatico. Personaggi poco più che cliché abbozzati, per il resto c’è uno scarso approfondimento che mi ha lasciato con un retrogusto amaro.
Regia: 8,5 - Secondo mezzo passo indietro. Intendiamoci: visivamente è un film sbalorditivo, come quasi tutti quelli di Shinkai. Purtroppo più di una scena presenta dei cali di qualità, probabilmente dovuti ad una maggiore fretta realizzativa.
Musiche: 7 - Ottima colonna sonora, diamo pure il bentornato ai Radwimps, che offrono una prestazione solida, anche se non ho trovato i pezzi cantati veramente memorabili.
Ritmo: 7 - Parte benissimo, rallenta nel mezzo, accelera sul (doppio) finale. Nulla di nuovo, Shinkai ci regala spesso situazioni del genere. Non è noioso, altro punto a suo favore, esattamente come con Your Name..
Violenza: 5 - poco da segnalare. Qualche scena drammatica stile yakuza-movie, che per me hanno pure stonato nel contesto in cui sono state inserite, ma niente di trascendentale.
Humour: 5 - film decisamente serio, giusto qualche scenetta simpatica ma niente di più.
XXX: 1 - nulla da segnalare. 
Globale: 7,5 - Per gioco, ho confrontato i voti che ho assegnato a Weathering with you con quelli dati a Your Name., d’altronde il paragone tra i due film è inevitabile. Tranne qualche eccezione, in media qui c’è un punto di voto in meno in tutte le sezioni. Non è certamente un caso, per me non siamo ai livelli del predecessore, vuoi perché avevo aspettative enormi, vuoi perché non ho trovato dei significativi miglioramenti nei soliti, noti punti deboli di Shinkai, anzi, l’impianto narrativo nell’ultima prova ne esce leggermente indebolito. Makoto Shinkai poteva fare un balzo, invece è indietreggiato. Più volte ho citato l’espressione comfort zone per spiegare cosa intendo, e lo ribadisco anche in sede di commento. Shinkai non ha voluto osare e questo è il risultato. Mezzo voto in più come punteggio bonus per i fondali e i disegni, sono un valore aggiunto che non è possibile ignorare. Gli effetti della pioggia sono incredibilmente immersivi: ve ne renderete conto con i vostri stessi occhi!


Conclusioni finali totali globali

Uno dei tanti incroci visualizzati da Shinkai: overdose di colori.
(da 5 cm al secondo)
L'avrete capito: Makoto Shinkai, pur con tutti i suoi macroscopici difetti, a me piace. Lui per primo ama raccontare attraverso le immagini, e grazie a questo espediente semplice in teoria, elaborato nella pratica, non si può non restare a bocca aperta di fronte alla qualità sbalorditiva dei suoi fondali, dei disegni, dei colori, dell'uso intelligente della computer graphic. Il suo è un lavoro ai limiti della maniacalità, al punto che spesso l'aspetto tecnico non solo nasconde, ma addirittura disintegra il suo tallone di Achille, la scarsa abilità della scrittura / sceneggiatura. Prima di arrivare a Your Name., subito dopo aver visto Il giardino delle parole mi stavo dicendo: se solo avesse uno sceneggiatore degno di questo nome a dare un senso alla sua abilità visionaria, ci troveremmo tra le mani il capolavoro supremo dell'animazione giapponese. Your Name. ci è andato davvero vicino, cadendo in un paio di grossolani errori, ma finendo con risultare il più convincente come scrittura e maturità artistica. Purtroppo il successivo Weathering with you non è riuscito a mantenere le promesse, lasciandomi con un retrogusto amaro. Pur in un contesto di costante e continua crescita, oggi Makoto è da prendere così com'è: un artigiano delle immagini, capace di creare dei quadri animati di sicuro impatto visivo, un artista dal grande talento e con un enorme potenziale da sfruttare. Da tenere d'occhio, perché per fortuna oggi non esiste più il solo Miyazaki: l'animazione giapponese ha, insieme al Kyoto Animation (ne ho parlato qui, nella recensione di A silent voice), dei diamanti grezzi capaci di discostarsi dalla attuale, monotona produzione di anime per le masse, sì validi, ma vuoti e senz'anima se non per una veloce evasione. Mai mi sognerei di parlare di cinema d'autore con Naruto o One Piece, ma forse potrei arrivare a farlo con alcuni registi dell'ultima generazione come lo stesso Makoto Shinkai, Naoko Yamada (A silent voice), Hiroyuki Okiura (Una lettera per Momo), Mamoru Hosoda (The Boy and the Beast, Wolf Children, La ragazza che saltava nel tempo) che si affiancano a mostri sacri come Mamoru Oshii (Jin-Roh, Ghost in the Shell, The Sky Crawlers), Katsuhiro Otomo (Akira, Steamboy), Hideaki Anno (Le ali di Honneamise) e il compianto Satoshi Kon (Perfect Blue, Tokyo Godfathers, Paprika). Non nomino quello che forse è il migliore, Isao Takahata (Una tomba per le lucciole), amico di Miyazaki nonché socio fondatore dello Studio Ghibli, lui è in una categoria a parte. Prima di chiudere, provo infine a rispondere alla domanda posta all'inizio dell'articolo: può dunque Makoto Shinkai essere considerato il nuovo Miyazaki? Al di là della bestialità di un paragone del genere (ciascuno dei registi sopra citati ha uno stile suo, ciascuno è unico a modo suo), e al di là del fatto che mi sono veramente stracciato le balle a sentire di questo confronto (quasi come ascoltare le musiche di Tenmon), vi dico in assoluta sincerità che la risposta per me è NO. Shinkai, negli attuali quindici anni di crescita, non ha ancora fatto il grande balzo, sembra un eterno incompiuto, forse perfino sopravvalutato. Bravo, bravissimo nel creare un soggetto e un'ambientazione, molto meno abile nel raccontarlo. Preferisce andare sul sicuro e giocare sulle emozioni facili, lasciandosi sopraffare dall'overdose visiva in cui, ammettiamolo, adora crogiolarsi. Lui stesso, in un'intervista, ha fatto un'affermazione interessante e condivisibile: "Io nuovo Miyazaki? No di sicuro, e non ci sarà mai nessun altro Miyazaki perché finirebbe sempre per essere il secondo. Di Miyazaki ce n'è uno solo, né mi interessa diventare come lui." Un altro, forse più importante, motivo che divide anziché unire Miyazaki e Shinkai è che il primo utilizza le sue opere per fare critiche sociali ben precise, mentre il secondo nemmeno ci prova ad affrontare temi di grande portata, preferendo soffermarsi sul particolare, sul sentimento dell'individuo, sulla singola emozione. Fra i nomi appena elencati, avrei forse puntato più su Satoshi Kon, a mio avviso il più completo e visionario, o su Yoshifumi Kondo (I sospiri del mio cuore), il più vicino alla poetica del Maestro. Peccato che entrambi ci abbiano lasciato prematuramente: quindi, per favore, lasciamo Miyazaki dove sta, e lasciamo che ciascun regista prosegua per la sua strada libero di esprimersi e senza che vengano scomodati paragoni totalmente campati per aria.
L'articolo  è concluso, vi saluto e vi lascio con due piccole appendici per rendere più completa la monografia: il rapporto tra Shinkai e Haruki Murakami, un suo grande ispiratore; e informazioni utili per reperire in italiano tutti i suoi film, con qualche nota sull'edizione.
Grazie per l'attenzione! Se siete arrivati fin qui, vi faccio i miei più sinceri complimenti: spero che questo lungo articolo sia stato di vostro gradimento, altrimenti stigrancazzi.

Makoto Shinkai e Haruki Murakami
Scena onirica, che richiama Murakami al 100%
(da 5 cm al secondo)
In apertura, avevo accennato alle fonti di ispirazione di Shinkai, facendo i nomi di Miyazaki e Murakami. Come promesso, provo a raccontarvi dello scrittore - che apprezzo enormemente - in modo da sottolineare quali siano davvero i punti in comune. Ben lungi dal presentarvi in dettaglio lo scrittore, primo perché non ne sarei in grado - il suo universo narrativo è molto complesso e va oltre Norwegian Wood - Tokyo Blues, la sua opera più famosa e probabilmente la più semplice - secondo perché un blog di cinema non è nemmeno la sede giusta. Quello che posso dirvi è che Haruki Murakami, classe 1949, è uno degli scrittori giapponesi contemporanei più famosi, superando in fama anche Banana Yoshimoto, che spopolò enormemente in Italia tra la fine degli anni '90 e i primi del 2000. Fortemente influenzato dagli scrittori della Beat Generation, di cui poi è stato anche traduttore dall'inglese al giapponese, amante del jazz e della cultura occidentale in generale, ha, fin da subito, cercato di unire due mondi per certi versi antitetici: quello giapponese e quello occidentale, risultando efficace, d'effetto e di successo. In Italia, grazie alle traduzioni di Giorgio Amitrano e Antonietta Pastore, abbiamo potuto leggere praticamente tutti i suoi bestseller, tra cui non posso esimermi dal citare questa selezione:
  • La fine del mondo e il paese delle meraviglie (1985, 2002 in Italia)
  • Norwegian Wood (1987, 1993 in Italia col titolo Tokyo Blues)
  • Dance Dance Dance (1988, 1998 in Italia)
  • L'uccello che girava le viti del mondo (1994-1995, 1999 in Italia)
  • Kafka sulla spiaggia (2002, 2008 in Italia)
  • After Dark (2004, 2008 in Italia)
  • 1Q84 (2009, 2011-2012 in Italia)
A parte Norwegian Wood, un solido romanzo di formazione e crescita, gli altri sono improntati su un peculiare stile visionario, dove spesso si intrecciano storie ambientate su più piani paralleli, a volte anche fantastici, in cui diversi protagonisti si muovono alla ricerca della propria identità personale. Sono personaggi spesso soli, senza un obiettivo chiaro nella vita, ma animati da una voglia di rivalsa verso la propria situazione. Dotato di forte ironia e di una spiccata vena surreale, Murakami ama però ammantare le sue storie di un velo di malinconia e tristezza. I suoi romanzi sono spesso accostati al genere letterario del Shishōsetsu (Romanzo dell'Io, I-Novel in inglese), secondo il quale gli eventi della storia, narrati in prima persona, devono corrispondere al vissuto dell'autore stesso, che riversa nei suoi personaggi le esperienze personali. Murakami, però, è andato oltre: leggendo Norwegian Wood, ad esempio, è facile cadere in errore e pensare che il protagonista sia una proiezione autobiografica, grazie alla quale lo scrittore sfrutta le sue esperienze passate per metterle su carta. Niente di più falso, come ci spiega lo stesso Murakami: se avesse dovuto scrivere un romanzo basandosi sulla sua vita da adolescente, avrebbe riempito al massimo 15 pagine. Non sto scrivendo queste righe per fare il figo (in fondo, basta andare su Wikipedia no?), ma perché lo stilema principale del Shishōsetsu lo ritroviamo in pieno anche con Makoto Shinkai (non dimentichiamo che prima di scoprirsi talentuoso artista, stava frequentando l'università di letteratura giapponese). I suoi film, escluso Viaggio verso Agartha (per questo continuo a ritenerlo il più atipico, il meno "suo"), hanno l'io narrante che spiega gli avvenimenti in modo molto intimista e che talvolta racconta le sensazioni dei personaggi come se si rivolgesse davvero allo spettatore. Esattamente come Murakami, nella realtà non c'è nulla di autobiografico, almeno a livello profondamente personale, ma i personaggi pensano e agiscono come se l'autore avesse vissuto davvero quella situazione. La presenza costante dei gatti in tutti i suoi film (l'unico in cui non compaiono è Il giardino delle parole) è un'altra dimostrazione di questa affermazione: in una intervista, Shinkai ha dichiarato di aver sempre vissuto circondato dagli amici felini, cosa ritenuta abbastanza naturale a Nakano, la prefettura in cui è nato. [4] 
Entrando più nello specifico, l'impronta maggiore di Murakami si trova in tre film.
5 cm al secondo è quello più facile da associare a Murakami: trasuda Norwegian Wood da ogni fotogramma del primo e del terzo arco narrativo, è impossibile non ricondurre Takaki al protagonista Tōru Watanabe del libro. Intendiamoci: i personaggi fanno e dicono cose assolutamente diverse, ma il richiamo all'atmosfera malinconica e al percorso di crescita personale presenti nel romanzo è molto forte, così come l'opprimente senso di solitudine e isolamento provato da entrambi i ragazzi. Altro tema centrale è l'idealizzazione dell'amore - ossessione in Shinkai, tensione erotica in Norwegian Wood - vissuto come motore degli eventi. Murakami aggiunge una sfaccettatura più drammatica ed elaborata, perché il percorso del suo protagonista prevede una serie di riflessioni sull'importanza della morte durante la vita (tema appena sfiorato da Shinkai in Viaggio verso Agartha).
Il secondo film da citare è Il giardino delle parole, che per alcuni versi può richiamare Kafka sulla spiaggia. Tralasciando l'elemento fantastico del romanzo, assente nel film, nel libro assistiamo ad un progressivo e folle innamoramento di un quindicenne nei confronti di Saeki, una donna più matura, che gestisce la biblioteca di Nakano (guarda le coincidenze: il luogo natale di Shinkai), rendendola una sorta di proiezione edipica della madre che non c'è più; lo stesso avviene con Takao. Parlo di spunti iniziali, perché poi, come è giusto che sia, le trame divergono enormemente; tanto semplice e lineare è la storia di Shinkai, quanto ingarbugliata, mistica, sorprendente è quella immaginata da Murakami. In Kafka sulla spiaggia, inoltre, incontriamo gatti senzienti: li abbiamo visti in Lei e il gatto e in Someone's Gaze, entrambi, a ben pensarci, più che debitori nei confronti di Murakami.
Il terzo film è ovviamente Your Name.: le disquisizioni pseudo-filosofiche sul Musubi, l'intreccio con balzo di tempo e di luogo appena più complicato, il ricorso ad un misticismo di fondo, sono i punti in comune più evidenti. Ma, più di tutti, il richiamo più forte è quello ad un brevissimo racconto, Vedendo una ragazza perfetta al 100% in una bella mattina d'aprile (sì, è il titolo completo) contenuto nella raccolta L'elefante scomparso e altri racconti (1993, 2001 in Italia). Se conoscete l'inglese e avete voglia di approfondire ulteriormente, suggerisco caldamente l'articolo apparso su The Animation Curation. Sapendo quando Shinkai conosca Murakami, è facile pensare che le similitudini con la breve storia scritta non siano un semplice caso: il tema della memoria e della sua scomparsa, l'incrociarsi per la strada, il riempire reciprocamente il vuoto con la presenza l'uno dell'altra... temi universali, certo, ma decisamente in comunione tra lo scrittore e il regista, su questo non ci piove.
Una menzione d'onore infine va a Oltre le nuvole, il luogo promessoci e a After Dark, che contengono un personaggio femminile che si risveglia dopo un sonno durato anni. Coincidenze? Non credo. [tono alla Adam Kadmon, zum zum!]. Lo stesso film ha come tema centrale quello degli universi paralleli, che Murakami sfrutta abbondantemente in diversi romanzi e racconti (La fine del mondo e il paese delle meraviglie su tutti).
Mi permetto di segnalare anche Weathering with you per due motivi: il primo è che anch’esso contiene spunti che abbiamo già trovato sempre in Kafka sulla spiaggia, tra cui la coesistenza tra il mondo reale e quello fantastico, l’incontro del protagonista con personaggi strani (e talvolta eccentrici), nonché strani fenomeni atmosferici che coinvolgono piogge e bombe d’acqua che cadono dal cielo. A domanda precisa, Shinkai ha ammesso di conoscere il libro e che lo stesso possa essergli servito da fonte di ispirazione “inconscia”. Il secondo motivo è un gioco di rimandi: in una delle prime inquadrature del film, vediamo che il protagonista Hodaka sta leggendo il libro “Il giovane Holden” (“The Catcher in the Rye”, J.D. Salinger, 1951). Come ricordato in sede di recensione del film, Murakami è stato il traduttore, tra gli altri, proprio di Salinger, contribuendo alla diffusione dell’opera nel paese del Sol Levante.
Andando a ravanare nel calderone dei punti in comune tra i due autori, posso ancora citare i loro finali, spesso aperti e non risolutivi; o l'utilizzo di punti di vista multipli e piani narrativi di mondi alternativi; o, ancora, una particolare predilezione verso elementi sovrannaturali e fantastici che hanno ripercussioni sul presente "normale" dei protagonisti. Non vorrei lanciarmi in affermazioni roboanti che potranno essere smentite dalla vostra sensibilità personale, ma mi sento di dichiarare che è alquanto probabile che gli estimatori di Haruki Murakami lo siano anche di Makoto Shinkai proprio per questa serie di similitudini di fondo che li accomunano. Detto che, insieme a Norwegian Wood, il romanzo che ho apprezzato maggiormente è stato L'uccello che avvitava le viti del mondo, di cui paradossalmente non ho trovato traccia nelle opere di Shinkai, mi rendo conto di quanto sia difficile attingere da un libro così profondo, per certi versi scomodo e scottante dal punto di vista della Storia con la S maiuscola: ecco, se Makoto decidesse di farlo, forse compirebbe davvero quel salto di qualità che continuo a chiedergli dopo ogni suo film.


Makoto Shinkai in italiano

Prima di chiudere, ecco le informazioni necessarie per reperire le opere di Shinkai qui in Italia. Detto che la Kazé ha fatto scempio di Viaggio verso Agartha (del quale, come ho scritto nel corpo della recensione, è caldamente consigliato recuperare una versione fansub) il resto è bene o male trovabile e di discreta se non buona fattura.

Lei e il gatto
Edizione: d/visual
Anno: 2005
Supporto: DVD
Note: Inserito come bonus nell'edizione DVD La voce delle stelle

Edizione: Kazé
Anno: 2010
Supporto: DVD e Bluray
Note: Inserito nel cofanetto Makoto Shinkai Collection

La voce delle stelle
Edizione: d/visual
Anno: 2005
Supporto: DVD

Edizione: Kazé
Anno: 2010
Supporto: DVD e Bluray
Note: Inserito nel cofanetto Makoto Shinkai Collection

Edizione: Dynit
Anno: Luglio 2019
Supporto: DVD e Bluray
Note: Inserito nella Limited Edition di 5 cm al secondo

Tutte le edizioni italiane dovrebbero avere il medesimo doppiaggio targato d/visual.

Oltre le nuvole, il luogo promessoci
Edizione: Dynit
Anno: 2017
Supporto: DVD e Bluray
Note: Uscito anche al cinema, martedì 11 e mercoledì 12 aprile 2017, su distribuzione Dynit / Nexo Digital

5 cm al secondo / 5 cm per second
Edizione: Kazé
Anno: 2010
Supporto: DVD e Bluray
Note: titolo usato in questa edizione: “5 cm per second”. Uscito in singolo e nel cofanetto Makoto Shinkai Collection

Edizione: Dynit
Anno: 2019
Supporto: DVD e Bluray
Note: titolo usato in questa edizione: “5 cm al secondo”. Uscito anche al cinema nella distribuzione Nexo Digital il 13, 14 e 15 maggio 2019. Non è stato ridoppiato.

Viaggio verso Agartha / I bambini che inseguono le stelle
Edizione: Kazé
Anno: 2012
Supporto: DVD e Bluray
Note: titolo usato in questa edizione: “Viaggio verso Agartha”. La qualità del primo doppiaggio italiano ad opera della Kazé è oscena, da evitare assolutamente, così come i sottotitoli.

Edizione: Dynit
Anno: 2019
Supporto: DVD e Bluray
Note: titolo usato in questa edizione: “I bambini che inseguono le stelle”. Il 26 giugno 2019 è uscito il ridoppiaggio nell’edizione Dynit, edizione che consiglio spassionatamente.

Someone's Gaze
Edizione: Dynit
Anno: 2014
Supporto: Nessuno
Note: Uscito al cinema in abbinamento a Il giardino delle parole, mercoledì 21 maggio 2014, su distribuzione Dynit / Nexo Digital. Non presente in DVD / Bluray

Il giardino delle parole
Edizione: Dynit
Anno: 2014
Supporto: DVD e Bluray
Note: Uscito anche al cinema, mercoledì 21 maggio 2014, su distribuzione Dynit / Nexo Digital.

Your Name.
Edizione: Dynit
Anno: Novembre 2017
Supporto: DVD e Bluray
Note: Uscito anche al cinema, da lunedì 23 a mercoledì 25 gennaio 2017 su distribuzione Dynit / Nexo Digital. Il successo del film ha fatto sì che fossero confermate altre date: 31 gennaio e il 1º febbraio 2017, il 9 e il 10 febbraio 2017 per chiudere il 14 febbraio 2017 come evento speciale.

Weathering with you
Edizione: Dynit
Anno: Ottobre 2019 (data di uscita al cinema)
Supporto: DVD e Bluray (data non ancora nota)
Note: Uscito anche al cinema, da lunedì 14 a mercoledì 16 ottobre 2019 su distribuzione Dynit / Nexo Digital. Il successo del film ha fatto sì che fossero confermate altre due date: 5 e 6 novembre 2019.

Note 

[1] Il Maestro Hayao Miyazaki non si ritira mai, ad ogni annuncio di abbandono, segue quello del nuovo film in produzione. L'ultimo annuncio di ritiro risale al 2013 e nel dicembre 2016 c'è stato l'annuncio di un nuovo film in produzione previsto per il 2019 (i più scettici pensano uscirà un paio di anni dopo).
[2] Una precisazione, che troveremo in diverse scene di Shinkai: in Giappone i ragazzi si scambiano email con il cellulare, non esiste l'SMS. Questo anche prima degli smartphone così come li intendiamo oggi (Android / iOS).
[3] Scommetto che le statistiche di accesso di Google mi riveleranno risultati imbarazzanti sulle parole chiave di ricerca utilizzate per arrivare qui.
[4] http://m.imdb.com/name/nm1396121/quotes?ref_=m_nm_trv_trv

Crediti

Mi sento in dovere di ringraziare La Moglie e l’amica Cecilia Cianchi per avermi dato una grossa mano a revisionare il testo e a sistemare le inevitabili magagne che un articolo così lungo porta con sé. Per il resto, come sempre fondamentali Wikipedia e imdb.com per snocciolare nozionismo puro, e Animeclick.it per le interviste a Shinkai e per alcuni spunti e idee nei commenti. Ottimo, infine, l’articolo apparso in The Infinite Zenith per la mia recensione de Il giardino delle parole. Le mie altre fonti di ispirazione sono state direttamente citate nel corpo dell’articolo.
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